Aprile è il più crudele dei mesi,
genera lillà da terra morta,
confondendo memoria e desiderio,
risvegliando le radici sopite
con la pioggia della primavera…
(T.S. Eliot, La terra desolata)
La pioggia si fa desiderare, in questa nuova asciutta primavera.
Aprile mi confonde spesso, ma stavolta abbraccio il risveglio senza fuga, corro incontro a ricordi e nuove voglie, rimescolo incanti autunnali e piccole strategie di sopravvivenza a tremori, gonfiori, stanchezza…

Tra la Liberazione e il Primo Maggio torneremo a Parigi, con una coppia di amici, non da soli come la prima volta.
Ero già stata almeno mille volte nella Ville Lumière come spesso sono stata a fare colazione su Plutone, attraverso letture, canzoni, film… e sì, è vero che è bello leggere, fantasticare, lasciarsi trasportare dalle suggestioni ricreate da altri come scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli (Emilio Salgari), ma metterci piede davvero e camminarci dentro è stato come danzare dopo aver visto ballare altri.
Un fantastico regalo per l’anniversario delle nozze, nell’anno in cui il cucciolo diventava maggiorenne.

Ricordo il ritorno dal sogno, con gli occhi arrossati dalla notte in treno e il cuore gonfio di bellezza, sotto una pioggia diversa da quella che la sera prima bagnava Parigi, città favolosa, colorata e luminosa anche nel pianto dirotto delle nuvole, ricordo lo smarrimento e la fatica a riconoscere in Firenze la mia città. E la corsa per non perdere la partita della Fiore (quella del 31 ottobre 2010, trasferta a reti bianche a Catania, l’avevamo seguita all’Havane Cafè

con gli Esiliati del Viola Club Paris),

l’emozione dell’incontro con il nipotino tanto atteso, nato la sera prima della partenza… e la poca voglia di riabituarmi alle proporzioni ridotte. Firenze l’è piccina, Parigi enorme.

Soltanto il giorno prima del rientro un’intera giornata di pioggia, fine fine al mattino durante la visita al cimitero di Montparnasse, con sosta di Sandro (il mio sposo è un giocatore di scacchi) alla sepoltura di Alechin,

mentre per me era imprescindibile un omaggio a Sartre e Simone de Beauvoir.

Poi pioggia forte, incessante, maestosa, sfondo d’acqua e colonna sonora che nel ricordo viene per prima, punteggiata di briciole di memoria come la sosta per mangiare al calduccino in una brasserie del Quartier Latin, già percorso di giorno e di notte col cuore in volo e i capelli al vento

e le vetrate di Notre-Dame, dove sono voluta tornare ancora una volta l’ultimo giorno,

prima di correre a prendere il treno per la notte dell’anniversario in scompartimento a due,

sistemazione assai più confortevole del terrificante viaggio d’andata in cuccette a sei posti…
[à Paris, 1]