«O Amore dammi tanta voce che chiamando te Amore, io sia sentita dall’Oriente insino al Occidente, e da tutte le parti del mondo, etiam nell’Inferno, accioché da tutti tu sia conosciuto e amato, amore; […] Amore, amore tu solo penetri e trapassi… se’ cielo e terra, Fuoco et Aria, Sangue e Acqua.»
Santa Maria Maddalena de’ pazzi
La santa di oggi, nata Caterina, diventata monaca col nome di Maria Maddalena, è patrona del seminario di Firenze, che si trova dove allora era il convento di Santa Maria degli Angeli, poi monastero del Cestello. Le sue spoglie mortali sono state portate dove ho studiato, tra Borgo Pinti e via della Colonna, il chiostro del convento dove si erano trasferite le carmelitane di Santa Maria degli Angeli, dimezzato, è diventato il cortile del liceo Michelangelo!
Caterina de’ Pazzi a sedici anni, prima di entrare in Carmelo; ritratto di Santi di TitoAlessandro Rosi, Estasi di Santa Maria Maddalena de’ PazziSilvio Zannelli, S. Maria Maddalena de’ Pazzi, olio su tela, 25 maggio 2007, IV centenario della morte.
“Venite ad amare l’Amore!” diceva di continuo alle consorelle, anche nel cuore della notte, per incoraggiarle all’adorazione. Innamorata di Cristo, spese la sua vita per la rinascita della fede nella Chiesa e offrì ogni sua sofferenza “all’Amore non amato” che voleva far conoscere a tutti: “Amate voi l’amore? E come fate a vivere? Non vi sentite consumare e morire d’amore? Se non amate l’Amore, chi volete amare?”. Un bell’articolo su santa Maria Maddalena è QUI.
Assisi, Santa Maria degli Angeli
A me tornava in mente san Francesco e il suo sconsolato “l’Amore non è amato, l’Amore non è amato…” e mi sembrava di vedere le sue lacrime tra le rose e le pietre di un’altra Santa Maria degli Angeli, non chiesa fiorentina, ma l’imponente basilica costruita intorno alla Porziuncola…
Un contadino chiese: “Cos’è successo, fratello, perché piangi?”
Il fratello – San Francesco – rispose: “Fratello mio, il mio Signore è sulla Croce e mi chiedi perché piango? In questo momento vorrei essere il più grande oceano della terra per avere tutte quelle lacrime. Vorrei che si aprissero allo stesso tempo tutte le porte del mondo e le cataratte e che si scatenassero i diluvi per farmi prestare più lacrime. Ma anche se mettessimo insieme tutti i fiumi e i mari non ci sarebbero lacrime sufficienti per piangere il dolore e l’amore del mio Signore crocifisso. Vorrei avere le ali invincibili di un’aquila per attraversare le catene montuose e gridare sulle città: ‘L’Amore non è amato!’ Com’è possibile che gli uomini possano amarsi se non amano l’Amore?”
di Ignacio Larrañaga, in “Nostro fratello d’Assisi”, una biografia di San Francesco
Ieri, per Santa Rita da Cascia, la ‘santa degli impossibili’, benedizione delle rose al termine della messa a San Jacopino. Ne ho presa una anch’io, da portare a casa e ho esclamato: “Ma è senza spine!” e Alice: “Gliele avranno tolte, perché le sole rose senza spine sono… ” “nel roseto di San Francesco!”
Sabato scorso, con Roberta ad Assisi, siamo state anche a vedere il roseto, vicino alla Porziuncola e oggi mi piace mettere qui il racconto del frate minore Francesco Bartoli, che scrisse un Trattato sull’indulgenza di Santa Maria della Porziuncola. nella prima metà del XIV secolo, raccontando in maniera dettagliata l’esperienza di san Francesco poco prima del colloquio decisivo (per il dono immenso che ci ha lasciato) con Gesù e con Maria:
«stando san Francesco nella cella, che era nel giardino accanto alla chiesa di Santa Maria, nel mese di gennaio, e vegliando in preghiera nella notte, ecco Satana che venne e gli disse: “Francesco, perché vuoi morire prima del tempo? O ignori che dormire è l’alimento principale per il corpo? Perché stai facendo altro? […] Perché dunque ti punisci con veglie e preghiere?”. Allora san Francesco uscì dalla cella spogliato dalla veste e entrò nel bosco attraverso una siepe grossa e serrata, consegnando il suo corpo ai rovi e alle spine. E disse: “Inestimabilmente è meglio per me conoscere la passione del Signore, piuttosto che cedere alle seduzioni del nemico”. Quando il corpo fu insanguinato, sopravvenne una grande luce, apparvero numerosissime e bellissime rose bianche e rosse dal mirabile profumo e assieme allo splendore vi fu una moltitudine di angeli sia nella chiesa che presso di essa. E allora gli angeli dissero a san Francesco: “Vai velocemente in chiesa dal Salvatore e dalla madre sua”».
Nella foto di ieri, mentre sistemavo la rosa di santa Rita nel vaso, si vede che indosso il braccialetto con le medaglie di san Benedetto. C’entra anche il monaco di Norcia! Come raccontava, qualche secolo prima di san Francesco, papa Gregorio Magno narrando la vita di san Benedetto:
«Un tempo egli aveva veduta una donna ed ora lo spirito maligno turbava con triste ricordo la sua fantasia. E fiamma sì calda il diavolo suscitò nell’animo del servo di Dio con quella appariscente bellezza, che egli non riusciva più a contenere il fuoco dell’amore impuro e già quasi vinto stava per decidersi ad abbandonare lo speco. Fu un istante: illuminato dalla grazia del cielo, ritornò improvvisamente in se stesso. Visti lì presso rigogliosi e densi cespugli di rovi e di ortiche, si spogliò delle vesti e si gettò, nudo, tra le spine dei rovi e le foglie brucianti delle ortiche. Si rotolò a lungo là in mezzo e quando ne uscì era lacerato per tutto il corpo; ma con gli strappi della pelle aveva scacciato dal cuore la ferita dell’anima, al piacere aveva sostituito il dolore; quel bruciore esterno imposto volutamente per pena, aveva estinto la fiamma che ardeva all’interno, e così, mutando l’incendio, aveva vinto l’insidia del peccato».
Ma per san Benedetto lacerazioni e strappi, invece per il giullare di Dio il roveto divenne roseto e di rose senza spine.
Le fonti narrano che una notte dell’anno 1216, san Francesco è immerso nella preghiera presso la Porziuncola, quando improvvisamente dilaga nella chiesina una vivissima luce ed egli vede sopra l’altare il Cristo e la sua Madre Santissima, circondati da una moltitudine di Angeli.
Essi gli chiedono allora che cosa desideri per la salvezza delle anime. La risposta di Francesco è immediata: “Ti prego che tutti coloro che, pentiti e confessati, verranno a visitare questa chiesa, ottengano ampio e generoso perdono, con una completa remissione di tutte le colpe”.
“Quello che tu chiedi, o frate Francesco, è grande – gli dice il Signore -, ma di maggiori cose sei degno e di maggiori ne avrai. Accolgo quindi la tua preghiera, ma a patto che tu domandi al mio vicario in terra, da parte mia, questa indulgenza”.
Francesco si presenta subito al pontefice Onorio III che lo ascolta con attenzione e dà la sua approvazione. Alla domanda: “Francesco, per quanti anni vuoi questa indulgenza?”, il santo risponde: “Padre Santo, non domando anni, ma anime”. E felice, il 2 agosto 1216, insieme ai Vescovi dell’Umbria, annuncia al popolo convenuto alla Porziuncola: “Fratelli miei, voglio mandarvi tutti in Paradiso!”.
Prima di sostare a pregare e accogliere il dono prezioso, passeggiata tra rose e pietre, tortorelle e un presepe…
per poi tornare riconciliate e pronte a gustare la dolcezza della Sua presenza reale (una messa fuori programma per la prima comunione di alcuni bambini). E poi la visita alla Cappella del transito
e uno sguardo, istruito dalla lettura in treno, alle gambe del primo santo della storia:
un frammento della Crocifissione ‘nascosta’ del Perugino, quella meno famosa e di non sicura attribuzione, ma veramente affascinante:
Se siete alle spalle della Porziuncola, alzate lo sguardo e guardate il dipinto della Crocifissione del Perugino. Non abbiamo la totale sicurezza che ne sia proprio lui l’autore, ma sappiamo con certezza che il 18 luglio 1486 Pietro Perugino era presente ad Assisi, probabilmente proprio per prendere accordi con i frati in merito a quest’opera. Ciò che oggi è visibile ai nostri occhi è quel che resta di questa grande Crocifissione che decorava il primitivo coro della Porziuncola costruito nel 1485. L’affresco, in seguito, fu gravemente mutilato per consentire la costruzione della chiesa cinquecentesca. Ora osservate bene questa bellissima pittura: al centro si vedono le gambe di un crocifisso (dicevamo che solo una parte dell’originale affresco è visibile). Quelle due gambe crocifisse, al centro della scena, con ai suoi piedi donne che piangono e svengono per il dolore, rendono quasi automatico far pensare che siano quelle di Gesù. Solo ad un occhio attento, non sfugge una scena posta all’estrema destra della parete: un legno verticale di una croce (solo il legno) con San Francesco che lo abbraccia, in ginocchio. Allora uno pensa: ma se Gesù è posto (presumibilmente) al centro della scena, chi sta abbracciando San Francesco? Ed allora tutto diventa chiaro: Francesco sta abbracciando il legno della croce del suo Signore ed il centro della scena è riservata al crocifisso che era alla sua destra, cioè a quel “buon ladrone” di cui tutti abbiamo la certezza essere in Paradiso. L’unica persona proclamata santa direttamente da Gesù, senza bisogno della Congregazione delle Cause per i Santi. La prima creatura umana salvata dal suo Creatore. Il primo uomo arrivato alla casa del Padre, grazie alla morte del Figlio. Il primo salvato della storia è lì, al centro della scena, sulle mura esterne della Porziuncola. È un bellissimo messaggio per tutti: entrate in questa chiesa, luogo di salvezza per tutti coloro che vorranno, anche oggi, dire a Gesù (come il buon ladrone di duemila anni fa): “Ricordati di me”! .
(pagine 72-73 del prezioso libro di Maria Cristina Corvo, Nei luoghi di Francesco per incontrare Dio. Misericordia di Dio abbracciami!)
Roberta era commossa, siamo uscite con tanta luce e pace in cuore GRAZIE
Come santo Francesco dimesticò le tortole salvatiche.
Un giovane avea preso un dì molte tortole, e portavale a vendere.
Iscontrandosi in lui santo Francesco, il quale sempre avea singulare pietà agli animali mansueti, riguardando quelle tortole con l’occhio pietoso, disse al giovane: «O buono giovane, io ti priego che tu me le dia, e che uccelli così innocenti le quali nella Scrittura sono assomigliate all’anime caste e umili e fedeli, non vengano alle mani de’crudeli che gli uccidano».
Di subito colui, ispirato da Dio, tutte le diede a santo Francesco; ed egli, ricevendole in grembo, cominciò a parlare loro dolcemente: «O sirocchie mie, tortole semplici, innocenti e caste, perché vi lasciate voi pigliare? Or ecco io vi voglio scampare da morte e farvi i nidi, acciò che voi facciate frutto e multiplichiate secondo i comandamenti del nostro Creatore».
E va santo Francesco e a tutte fece nido. Ed elleno, usandosi, cominciarono a fare uova e figliare dinanzi alli frati, e così dimesticamente si stavano e usavano con santo Francesco e con gli altri frati, come se fussono state galline sempre nutricate da loro. E mai non si partirono, insino che santo Francesco con la sua benedizione diede loro licenza di partirsi.
E al giovane, che gliele avea date, disse santo Francesco: «Figliuolo, tu sarai ancora frate in questo Ordine e servirai graziosamente a Gesù Cristo». E così fu, imperò che ’l detto giovane si fece frate e vivette nel detto Ordine con grande santità.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
La mia prima volta nei luoghi di Francesco? A parte la Verna, visitata con babbo quando ero una ragazzina, sì. Ieri, sabato 13 maggio, sono stata per la prima volta a camminare dove camminava, prima di diventare il poverello di Assisi, il santo che ho sempre amato, anche quando mi credevo non credente. Era il mio sogno, da diversi anni, da un paio di anni era diventato il sogno condiviso con Roberta, da qualche mese il ‘premio’ per lei, dopo l’intervento chirurgico l’estate scorsa, dopo la chemioterapia, dopo le altre cure che la mia carissima amica di Roma ha sopportato con coraggio e pazienza, insieme con tutta la sua situazione in casa, e anche una consolazione per me, per altre ferite e cicatrici, invisibili. I sogni sognati insieme diventano piccole avventure ricche di amore. GRAZIE
La sera prima della partenza, il saluto di don Fulvio con la benedizione di Francesco a frate Leone.
Emozioni di primo mattino alla stazione di Firenze, ancora incredula di poter andare…
In treno un libriccino prezioso (letto in parte a casa e dopo il viaggio, perché in treno c’erano tante persone che parlavano a voce alta e ho preferito fare foto, scambiare messaggi, cercar di pregare…). Dal finestrino del treno, papaveri e piccioni
Fratello piccione, vale anche per te!
Assisi mi ha incantata già alla stazione.
La mattina è stata dedicata alla Basilica di San Francesco (oltrepassando, in salita, San Damiano, in un giorno solo non si può vedere tutto, ci torneremo). Non ho fatto foto della tappa forse più intensa, giù, alla tomba di Francesco e di frate Leone e degli altri suoi compagni, non si potevano fare foto neanche sopra, ma qualche scatto senza flash e senza dare nell’occhio… certo, nessuna foto restituirà l’emozione di essere a un soffio da dove dipingeva Giotto, ma il cuore ha retto non so come… GRAZIE
Nel cuore, oltre ai capolavori dell’arte, la bellezza della natura intorno.
In Santa Croce per pochi minuti, oggi pomeriggio, qualche foto al volo anche se non ero entrata con i turisti… le guardie della Basilica mi avevano fatta passare, senza far la fila, per accedere alla zona riservata al culto. Ero stata alla messa la mattina a San Jacopino e lì, con alcune amiche, preghiere, in una chiesa parrocchiale, dopo mezzogiorno…si era ‘a posto’, formalmente (poi si vedrà ciascuna per sé quanto distacco in cuore da ogni peccato… che il Re dei re ci aiuti) però ho raccolto il suggerimento di Don Fulvio: andare a pregare anche a Santa Croce, per riaffermare la professione di fede e pregare secondo le intenzioni del Papa visitando allo stesso tempo una chiesa francescana, splendida occasione di rivedere la bellissima basilica francescana di Firenze!
“Ti prego che tutti coloro che, pentiti e confessati, verranno a visitare questa chiesa, ottengano ampio e generoso perdono, con una completa remissione di tutte le colpe”. Fu una richiesta audace quella fatta da San Francesco direttamente al Signore che gli era apparso in una notte del 1216 mentre era immerso nella preghiera nella Porziuncola. Si trovò, raccontano le fonti, improvvisamente circondato da un fascio di luce. Il Signore glielo concesse e Francesco, si recò subito da Papa Onorio III per ottenere l’indulgenza e il 2 agosto 1216, dinanzi una grande folla, alla presenza dei vescovi dell’Umbria promulgò il Grande Perdono. Francesco, in quella giornata di agosto, alle genti riparate all’ombra delle querce disse: “Fratelli, io vi voglio mandare tutti in Paradiso e vi annuncio una grazia che ho ottenuto dalla bocca del Sommo Pontefice”.
Quel lontano giorno d’estate segna così la nascita del tesoro della Porziuncola: l’Indulgenza del Perdono che può essere chiesta per sé o per i propri defunti. Per ottenerla è necessaria la confessione, la partecipazione alla Messa e l’Eucaristia, il rinnovo durante la visita della propria professione di fede recitando il Credo e il Padre Nostro, infine la preghiera secondo le intenzioni del Papa e per il Pontefice. Dalle 12 del primo agosto, fino alle 24 del 2 agosto, l’indulgenza plenaria concessa alla Porziuncola quotidianamente si estende a tutte le chiese parrocchiali sparse nel mondo e anche a tutte le chiese francescane.
Sono uscita più leggera e col cuore e gli occhi colmi di bellezza.
Vento, nuvole e voli…
E pensieri.
Un giorno ho letto una bella spiegazione dell’indulgenza plenaria, in un blog che non ritrovo. Lo teneva una insegnante di religione, di nome Maria Cristina, era molto emozionante. Mi ero salvata negli appunti la sua spiegazione chiara e semplice: “C’era una volta un ragazzino con un brutto carattere. Suo padre gli diede un sacchetto di chiodi e gli disse di piantarne uno nello steccato del giardino ogni volta che avesse perso la pazienza e litigato con qualcuno. Il primo giorno il ragazzo piantò 37 chiodi nello steccato. In seguito il numero di chiodi piantati nello steccato diminuì gradualmente. Aveva scoperto che era più facile controllarsi che piantare quei chiodi. Finalmente arrivò il giorno in cui il ragazzo riuscì a controllarsi completamente. Lo raccontò al padre e questi gli propose di togliere un chiodo dallo steccato per ogni giorno in cui non avesse perso la pazienza. I giorni passarono e finalmente il ragazzo fu in grado di dire al padre che aveva tolto tutti i chiodi dallo steccato. Il padre prese suo figlio per la mano e lo portò davanti allo steccato. Gli disse: “Ti sei comportato bene, figlio mio, ma guarda quanti buchi ci sono nello steccato. Lo steccato non sarà più quello di prima. Quando litighi con qualcuno e gli dici qualcosa di brutto, gli lasci una ferita come queste. Puoi piantare un coltello in un uomo e poi estrarlo. Non avrà importanza quante volte ti scuserai, la ferita rimarrà ancora lì. Una ferita verbale fa male quanto una fisica”.
Ogni chiodo piantato nello steccato rappresenta un peccato che abbiamo commesso e se togliamo questi chiodi (con il pentimento, con il sacramento della riconciliazione, con la conversione…) possiamo vedere i buchi che essi lasciano nel legno e che rimarranno per sempre. Ecco: l’indulgenza cancella quel “per sempre” che abbiamo appena scritto e lo trasforma in “fino a che non ci mette le mani Dio in persona”. Nel sacramento della riconciliazione si riceve il perdono di Dio, certo; ma intorno a noi non si cancellano le ferite (i buchi) che abbiamo lasciato. Come possiamo sanare quelle ferite? Come possiamo cancellare quei buchi, rimasti nel legno? Con l’indulgenza plenaria Dio stesso interviene, cancellando perfino i segni di stucco usato per coprire i buchi lasciati dai chiodi. Scompare ogni conseguenza del male che abbiamo fatto intorno a noi e la realtà intera viene guarita da Dio. Per utilizzare dei termini un po’ più teologici, si dice che nella confessione viene cancellata solo la colpa (cioè il peccato che abbiamo fatto) ma con l’indulgenza viene annullata anche la pena (cioè la penitenza che dovremmo affrontare per le brutte conseguenze che abbiamo provocato in noi e negli altri). La penitenza rimette in moto la giustizia, cioè toglie i chiodi dallo steccato e mette lo stucco al posto del buco. Rimedia al danno fatto. L’indulgenza plenaria è aggiustare il legno, ricreandolo con la potenza di Dio. Lo steccato ritorna integro e neanche lo stucco si vede più. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica, al n.1471 si spiega molto bene questo regalo di Dio: “L’Indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, dispensa ed applica autoritativamente il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei Santi”. È un regalo che riceviamo, allungando la mano nel tesoro di Dio! Un tesoro le cui monete d’oro sono state messe lì da Gesù stesso e dai santi che, man mano, hanno offerto tutto di loro per la nostra salvezza. Sono quelle monete (pagate spesso col sangue, con la vita e con l’amore per i peccatori) che hanno riempito il baule di Dio di grazie che ci guariscono. E Dio le dona a chi: • Chiede perdono • È pentito di quel che ha fatto • È disposto a rimediare