in un nido caduto da un ramo. Come piume e nodi, riparo smarrito.
Luce e bellezza a pochi passi da ricordi di lacrime e giorni e notti da dimenticare.
Rose di Villa le Rose.
Cancello della memoria travolto…
Eppure… Eppure si cambia. Dopo tanti inviti strappati, oggi, per la prima volta, sono andata a farmi fare quell’esame di ‘prevenzione’ oncologica. Non ci credo, per me prevenzione è cercare di mangiare sano, fare movimento, soprattutto aver finalmente smesso di fumare e cose così… la mammografia potrebbe portare a una diagnosi ‘precoce’, non prevenire un cancro. Prevenirne conseguenze letali, forse. Stavolta l’ho fatta, per l’esito ci vorrà un mese, potrebbero chiamarmi prima per eventuali ulteriori accertamenti, un’ecografia o una visita senologica, ma sinceramente non mi interessa, ora. Oggi ringrazio che a farmi l’esame (fastidioso, anche un pochino doloroso, ma il vero disagio non era il fastidio fisico) ci fosse una donna. Penso non ci sia bisogno di dire altro. Dopo, mi sono soffermata su piccoli doni per il cuore, bellezza sparsa, punti di ristoro:
Prima, solo la gratitudine per la gentilezza del personale dell’ISPRO (Istituto per la prevenzione oncologica) e la sensazione – quasi dimenticata – di respiro frenato, indossando dopo diverso tempo la mascherina ffp2. Ottima anche per l’allergia stagionale!
Come l’ultimo giorno dell’anno scorso, anche oggi prendo spunto dal foglietto quotidiano per salutare, benedire e ringraziare l’anno che oggi finisce
Questa giornata rischia di avere un sottofondo di malinconia per tutto quello che non è andato bene nell’anno appena trascorso. Qualche anno fa ho scoperto quanto sia bello, in questo giorno così strano, prendermi un’ora di tempo e fermarmi: pormi davanti al tabernacolo e ripercorrere insieme a Lui l’anno appena trascorso. Questo è diventato un momento a cui non voglio rinunciare, essenziale per concludere un tempo nel migliore dei modi. In questa sosta scrivo il mio “Te Deum”: la mia lode al Padre per i dodici mesi che mi sono stati donati. Scelgo poi dodici istantanee, una per ogni mese: dodici foto per benedire il tempo ricevuto in dono
E quest’anno mi sono regalata anche più di un’ora davanti al tabernacolo, sosta di ringraziamento mentre si chiude più che un anno. Ma le cose grandi ai grandi.
Per me è già difficile rinunciare a tanti pezzettini di memoria, da mettere insieme nel cuore, scegliere solo dodici istantanee da mettere qui? Anche se me ne concedo due o tre al mese, resta fuori tanto… in un anno difficile, che si è portato via un’amica ancora giovane, Lara, morta per un malore improvviso,
mentre un’altra amica, più che amica, Roberta, sorella di cuore, è stata operata per un cancro al seno e sta lottando ancora tra la chemioterapia e i suoi problemi in famiglia che intanto non si erano magicamente risolti, in un anno di prove e fatiche, i motivi di gratitudine sono tanti di più, più che nell’anno precedente.
La grazia non cancella dolori e difficoltà, ma permette di intravedere il sorriso di Chi ci ama tanto da essere nato per noi, nato da donna, poi anche morto e risorto, prima, soprattutto, nato, spogliato del suo essere infinito e fatto bambino GRAZIE
Pasqua 2022Gennaio 2022 con Sandro a San Miniato al Monte, foto scattata da Viola8 febbraio 2022 compleanno di Violamarzo 2022 disegni da catechista per i bambiniAprile alle CascineMaggio, a San Jack, preparativi per il CRE 202212 giugno 2022 Viola balla al Teatro PucciniGiugno 2022 educatrice bagnata come i bambini del CRELuglio 2022, la mostra mostra “Donatello, il Rinascimento”Luglio 2022, con Suor AnnaAgosto 2022, BalaganAgosto 2022, fuori dalla FiesoleSettembre 2022, 23 settembre bel bagno in mare a FetovaiaSolstizio di autunno all’isola d’Elba, 23 settembre 2022Ottobre 2022, ritiro dei catechisti Novembre 2022 mi piace ancora dipingereDicembre 2022 con Sandro e Viola al Fuoco Matto
E ho lasciato fuori il matrimonio di Francesco, con Viola e Bernardo che sembravano personaggi di un film…
la felicità marina a Castiglioncello,
gli incarichi colorati…
e chi non è qui, ma sempre nella memoria e nel cuore e spero mi aspetti a casa
Caro cardo salutis e non solo della salvezza, anche della verità. Non solo la teologia può servirsi degli strumenti della ricerca filosofica, anche la filosofia può ricevere impulso dai temi della teologia, in particolare a proposito del corpo, inteso come corpo vivente e vissuto “… il lavoro fenomenologico non smette di essere fecondo nel tematizzare l’umano come chi nel mondo non può vivere eludendo la questione del senso. L’ermeneutica dei vissuti corporei risulta essere un altro luogo filosofico da presidiare. Cristo lega ad un rito la narrazione della propria corporeità, tanto che corpo e rito non possono più essere disgiunti. Ma ciò che il corpo/rito di Cristo esprime in un grado particolarmente elevato di solennità non è estraneo ai vissuti ordinari di corporeità. Non esistono corpi che non celebrino riti. I corpi non sono mai inerti e non sono semplici esposizioni a ciò che li trascende. Il corpo, punto zero di ogni passività, è anche il luogo di ogni attività, soglia di accoglienza e azione, di ascolto e presa di posizione, di reazione e azione. Il corpo è sempre attore sul palco del mondo: ogni movimento muscolare, ogni impressione e ogni apprensione costituiscono la perenne messa in scena di un senso a cui non possiamo mai sottrarci. Il corpo non finisce con la pelle: i confini della corporeità si perdono nell’intreccio con altri corpi, con gli oggetti, con gli spazi. La cena di Gesù, nei testi che la raccontano e nei riti che la esprimono, costituisce un perenne invito a tutti coloro che pensano (e “filosofia” è il nome del pensiero che si fa rigoroso) a non smarrire la complessità della corporeità” (pagina finale di Presenza reale” ).
Nel pomeriggio ho finito di leggere il saggio di Don Manuel Belli iniziato diverso tempo fa e interrotto per altre letture più lievi, per impegni, stanchezza, pigrizia… (quante scuse trova la pigrizia! Sembrano ragioni, a volte), ma mai abbandonato, perché il tema mi appassiona e soprattutto per questo motivo, per non far finta di leggerlo senza capirci un tubo (non che ora ci abbia capito tutto!), aspettavo un momento di calma e lucidità. Se aspetti il momento perfetto non studi non fai mai nulla… stasera, cercando un po’ di notizie su questo studio ricco e tosto, accurato, ricco di fonti, citazioni, rimandi… ho scoperto di aver letto e amato un libro “eretico”! No, non lo ha dichiarato eretico il Papa, lo dicono alcuni blog ‘ultracattolici’.. a me sembra un lavoro molto interessante e pieno di amore per Gesù e l’Eucaristia oltre che di legittima curiosità intellettuale e ricerca storica. Provo a presentarlo al volo.
Manuel Belli, Presenza reale. Filosofia e teologia di fronte all’eucaristia, Brescia, Queriniana, 2022 Cinque capitoli densi e nutrienti:
1. Le ragioni di una ricerca e le opzioni metodologiche 2. Pascasio e Ratramno: i confini del vero e del reale 3. Lanfranco e Berengario: l’eucaristia alla prova della retorica 4. Tommaso d’Aquino: metafisica ed eucaristia 5. L’eucaristia dà da pensare? Scenari fenomenologici
Mi ero un po’ incartata con Berengario, si sono risvegliati ricordi di anni lontani, in cui ero ‘lontana’…
ne avevo accennato in un commento su facebook quando mi ero comprata il libro, dopo aver ascoltato diversi commenti al Vangelo della Domenica su “Scherzi da prete”, il canale YouTube di Don Manuel Belli e le registrazioni di alcune sue dirette su temi per me caldi: fede, ragione, rapporti tra fede e ragione, riti, chiesa, Chiesa, confessione…
Don Fulvio Capitani con i due libri di Manuel Belli
Don Fulvio aveva ricevuto sia questo che un altro libro di Manuel Belli, “La trama della fede” e…
ricordavo i miei esami di storia della filosofia medievale, con le controversie eucaristiche e altre dispute, i confronti tra Lanfranco e Berengario, Pascasio e Ratramno, fino alla vetta di rigore e raffinatezza dell’Aquinate (non è stato Tommaso il primo a parlare di transustanziazione, ma, per offrire i migliori strumenti ermeneutici possibili alla questione della comprensione dell’Eucaristia, ha usato il rigore aristotelico fino all’estremo delle sue possibilità, fino a sovvertire la metafisica).
Meno noti e quindi particolarmente affascinanti per me gli scenari fenomenologici, soprattutto nel sorprendente e fecondo intreccio con la teologia dei sacramenti. Dal capitolo su Tommaso d’Aquino la lettura è diventata un volo… il capitolo finale “L’eucaristia dà da pensare? Scenari fenomenologici” mi ha incollata alla sedia. GRAZIE
“…la consegna reciproca del corpo costituisce la semantica fondamentale dell’amore sponsale. Paolo stesso stabilisce un nesso tra l’amore sponsale e quello di Cristo per la sua chiesa (Ef7). Colui che si rende presente nell’eucaristia non è semplicemente l’anonimo corpo della divinità, ma il vertice di donazione amorosa a cui sia possibile giungere. Il pane spezzato solo metafisicamente è un accidente: in realtà c’è una evidente consonanza tra l’oblatività di Cristo e la simbolicità di un pane spezzato e condiviso. Non si tratta di negare la presenza di Cristo e nemmeno di esaltare una dimensione simbolica a discapito di quella realista: un corpo è sempre vissuto. E il vissuto di Cristo è indelebilmente legato all’amore. Ghislain Lafont sostiene che «tutto il realismo dell’eucaristia, dall’epoca barocca fino ai nostri giorni, si è incentrato non sull’atto del mangiare, ma sulla presenza reale di Cristo in ciò che viene mangiato». Il problema non è affermare o negare il realismo della presenza, ma aprire il problema al realismo amoroso del dono eucaristico. (…) Il corpo non è inerte (…) Il pane spezzato e il corpo crocifisso sono l’uno lo specchio dell’altro, appartenenti all’unico movimento corporeo dove l’amore non è meno reale della presenza.”
Un giovedì della prima settimana di vero caldo a Firenze, dopo un incontro difficile, invece di tornare a casa per il pranzo, mi sono regalata una passeggiata nei luoghi della mia memoria personale in strade ricche di storia e memoria più ampia. A piedi fino a piazza San Marco e poi via della Colonna, passando davanti al Miche…
e poi il Tempio sotto il sole, non di sera o verso il tramonto come nelle serate del Balagan.
Nella luce abbagliante, un invito al sogno…
e dai sogni più eterei a desideri più terreni, con il menu sulla lavagna
Con lo sposo ero stata a cena nel bel ristorante Ba’Ghetto, rivederlo di giorno è stato quasi straniante dopo tanti mesi senza uscite, anche se non si è ripetuto il lockdown dei primi mesi di pandemia… speriamo di tornarci presto, ci si mangia bene, ci si sta d’incanto.
I vini, ricordo con piacere un bel rosso, il corposo Merlot di casa Gamla, alla prossima cena. Per un pranzo d’estate, ottimo tabulè con verdure fresche e menta
e una visciolata estiva deliziosa.
E passi lenti in un silenzio irreale, davanti a Sant’Ambrogio
Un Clet all’angolo,
le rose in un giardino
spiato dall’inferriata
in via della Colonna.
La Cupola del Brunelleschi da piazza della Santissima Annunziata.
Giovedì 17 si festeggia la riapertura al pubblico della Sinagoga e del museo ebraico di Firenze. Dalle 17 sarà possibile visitare, su prenotazione, la Camera Immersiva (testi di Laura Forti). Dalle 19 ci si potrà deliziare con assaggi di cucina kosher, aperitivo sostanzioso, cena leggera, a cura di Ba’ Ghetto Restaurant e poi la musica trascinante della Balagan Café Orkestar diretta da Enrico Fink. Mi perderò la serata inaugurale per un altro impegno, legato ai miei doveri e piaceri di mamma, ma invito chi non ha fatto ancora esperienza del Balagan a scoprire il modo più fresco e divertente di vivere serate estive nutrienti per il cuore e la mente nel centro di Firenze.
ogni ponte un respiro più lento e un pensiero in volo…
mi mancavano le mie passeggiate.
Alberi e passi, nuvole e foglie riflesse nell’acqua,
rami spogli a svelare più cielo dopo le volte aranciate e i tappeti d’oro dell’autunno, colori nuovi in terra, marrone, nero, verde cupo, fiammate di rosso, sfumature di rosa e viola nel tramonto… e il suono dell’Arno, il vento sul viso, i versi degli uccelli, i profumi del bosco.
Certo, per tornare a correre ci vorrà pazienza, nessun infortunio stavolta, solo lo strascico di fatica e fiato corto di una broncopolmonite che mi ha debilitata (di suo e per via della cura, gli antibiotici che hanno stroncato i microbi mi lasciano a terra). Intanto mi godo le luci più belle, l’amore di Sandro e Viola, l’Amore che chiede ancora di nascere in noi e di farci rinascere, celebrato in tanti modi. Nel modo più semplice e dolce, con i presepi che mi piace allestire e ammirare. In casa il presepe di sempre, quello di quando ero bambina, con il Bambinello nuovo, da pochi anni, dono di un’amica di Napoli, in terracotta e lino, un piccolo gioiello per sostituire il Gesù perduto.
Quello bello in chiesa, a San Jacopino,
ancora a San Jacopino in giardino
dove si nota bene, meglio prima del tramonto, la nuova ospite della scenografia del presepe vivente della Vigilia; la gattina nera Stina, presto mamma di nuovi micini, ora spesso ai piedi del Bambino.
E di nuovo in chiesa, in San Donato in Polverosa: con le pecore e i pastori vicino all’ingresso,
ma il Bambino Gesù anche accanto all’altare, sotto il Crocifisso.
Nato per morire per noi, morto per farci nascere alla vita che non passa più. GRAZIE
Non a caso il giorno dopo Natale si ricorda il primo martire, Santo Stefano, che mentre moriva perdonava e vedeva spalancarsi il cielo…
Per Santo Stefano il Concerto di Natale a San Jacopino, per organo e quartetto di ottoni. Bellezza, cibo per l’anima.
Ci ho portato anche Viola.
A pranzo eravamo da mia madre, il 26 come il 25, mi manca sempre babbo, sedermi al suo posto a tavola mi fa ancora un certo effetto, ma lo sento in giro per casa il suo amore. Viola sta volentieri dove il mio babbo ascoltava musica, pregava, leggeva… lei ci disegna e mentre noi ‘grandi’ eravamo al caffè mi ha chiamata: “Mamma sono al tavolino del nonno, vieni accanto a me?” mi ci sedevo spesso a fumare col babbo, prima del suo infarto, lui il sigaro Antico Toscano, io le maledette sigarette ormai abbandonate da quasi due anni. Ora ci si colora con matite o pennarelli.
Primo giorno di autunno (sì, quest’anno l’equinozio di autunno era stamattina),
prima corsa sotto il temporale per me
Ero uscita quando non pioveva, tregua dopo una domenica di pioggia fitta e un’altra notte d’acqua e un altro risveglio bagnato…
I primi tuoni mi sembravano lontani, la pioggia mi piace e non volevo fermarmi e tornare indietro, stavo correndo felice, avevo trovato un buon ritmo…
Poi, però, la pioggia si è fatta più intensa, tuoni forti, fulmini vicini… anche un po’ di paura. Cielo sempre più scuro, scrosci violenti, sorrisi tremanti scambiati con gli altri due ‘pazzi’ a correre come me in tutto il parco delle Cascine sotto il temporale.
Sapevo che forse era meglio finirla e andare a casa, ma solo arrivata all’Indiano ho iniziato a pensare di rincasare e a quel punto c’era qualche chilometro da macinare nelle pozze.
Mentre tornavo indietro, a volte dovevo rallentare perché correvo dentro l’acqua, enormi pozzanghere… a volte invece acceleravo per paura dei lampi. Ma mi è piaciuto un sacco, un’esperienza nuova, un contatto speciale con le mie sorelle nuvole e le loro lacrime, una conversazione senza risposte a parole con Chi vive al di là delle nuvole…
Nel pomeriggio il cielo si è riaperto, sono andata a prendere Viola a scuola e da oggi le prime classi della primaria escono dal cortile dove passavo l’intervallo da piccina (la mia bimba va a scuola dove ho fatto anch’io le elementari). Lei gioca felice dove ho lasciato brutti ricordi…
prima di tornare a casa mi voleva far vedere dove gioca a campana.
… con il cuore a un’altra isola a me cara, colpita dal terremoto e da errori umani (tra Forio d’Ischia, Sant’Angelo, Casamicciola e Barano un’incantevole settimana con lo sposo all’inizio della nostra storia… ricordi indelebili appena velati di nostalgia senza rimedio, perché potremmo tornarci, ma non torneremo indietro nel tempo, quando ancora tutto o quasi tutto era da scoprire, provare, anche sbagliare).
E il sottile magone del sapermi viva davvero nei giorni che volano via tra scogli e pini, onde e stelle più che nei mesi in città, dove abito, lavoro, mi vesto, mi travesto (ci vogliono anche le maschere per affrontare il pubblico), parlo, ascolto, mi devo ricordare di respirare…
Una leggenda narra che l’Arcipelago Toscano si formò quando Venere emerse con irruenza dal mare per raggiungere suo figlio Eros, rompendo la collana che indossava e perdendo sette perle che caddero in mare dando vita appunto alle isole toscane.
Ma le isole che compongono l’Arcipelago sono molte di più di sette. C’è chi dice di averne visitate più di 70 e chi addirittura oltre 200: stanno nel mare così come abitano in ciascuno di noi e la loro conoscenza è il frutto di un viaggio interiore che si compie ogni giorno vivendo e scegliendo in quale direzione condurre il timone della nostra mente. Nel mio cuore vive l’Elba, negli occhi del cuore anche Pianosa, Montecristo, il Giglio… e di ogni isola un angolo più caro, una baia nascosta, uno scoglio speciale, un’insenatura apparentemente irraggiungibile, un promontorio senza nome…
Finalmente, dopo diversi anni di vago desiderio, stavolta raggiunta davvero la punta della Punta di Fetovaia.
Nuotare fuori dalla meravigliosa baia è affascinante, anche un po’ spaventoso, perché il mare aperto sa far paura, deve incutere almeno un po’ di timore a chi lo visita senza pinne e senza branchie. Un’emozione grande. Un senso di libertà e stupore che avevo quasi dimenticato, lasciato andar via dalla mente, ma non scordato, mai uscito dal cuore.
Non da sola, come promesso a chi si preoccupava per me, ma in compagnia di un grande amico, ottimo nuotatore e spettacolare fotografo: il “mago della luce”, Adriano! In attesa delle sue fotografie, scattate con la macchina subacquea mentre nuotavo oltre la punta, mentre facevo capriole tra i pesci e dopo anche nella gita in canoa (imparato pure a pagaiare quest’estate), qualche immagine sparsa della vacanza che ancora mi lascia un po’ di bronzo sulla pelle, un riflesso di sole sui capelli, una voglia di mare che non passerà fino al prossimo tuffo, tra meno di un anno.
ombre e luci prima e dopo la pioggia sul mare, luce nel cuore all’ombra del Pino solitario…
ogni tanto solo sposi, non solo babbo e mamma
della reginetta della baia
innamorata anche lei dei miei scogli,
Viola ha davvero fatto pace con i cani
e ci fa fare la pace
Non sono mancati i momenti di turbamento, non solo per l’incendio in Corsica che arrossava il cielo sopra Fetovaia ….
ma l’Elba è il mio nido e anche le rondini ormai ci stanno di casa…
al prossimo salto in “paradiso”
Nonna Gabriella ci ha lasciati in novembre. Nove mesi dopo, ancora sono tentata dalla voglia di chiamarla al telefono per un consiglio, un ricordo, una parola buona. Consigli su tutto, problemi legali o di salute (la teoria se l’era studiata aiutando per gli esami figli e nipoti medici e avvocati, la pratica …con tre figli cresciuti in tempo di guerra era inevitabile), dubbi esistenziali, curiosità.
E mentre Viola cresce e impara a parlare via via con più precisione e vivacità, mi dispiace tanto che non ci sia la sua meravigliosa bisnonna a sentirla e a goderne con noi.
Nonno Giuliano anche mi manca ancora, negli anni mi sono quasi dimenticata il suono della sua voce, non le sue battute e i sorrisi e i gesti che non avrebbe osato coi figli, mentre per noi nipoti faceva di tutto (per me si trasformava in un cavaliere, un lenzuolo per mantello, un manico di scopa come spada, per scacciare i mostri… nello specifico le mosche che mi inquietavano quando il mio fratellino era ricoverato al Meyer con la meningite e io venivo lasciata a casa dei nonni e in una visita all’ospedale avevo visto le mosche volare vicino alla mensa). E con chi ne parlavo? Con la nonna!
Se avevo un problema, un dubbio, un tormento… chi chiamavo (se la cosa era seria)? Nonna Gabriella.
Nonna Gabriella ci ha lasciati in novembre, dopo 104 anni di vita senza risparmiarsi. E non se n’è andata senza salutare… la mattina in cui è morta ho sentito che era successo in un modo che non saprei spiegare di nuovo, ma l’ho saputo e l’ho detto a un amico prima di tornare a casa a ricevere la notizia. E dopo il funerale, il doppio arcobaleno con cui è volata via…
Ora devo imparare a lasciarla vivere dentro me in tutto quel che mi ha lasciato, oltre a pregare per lei (ma sono convinta sia andata dritta in paradiso). E mi ha lasciato tanto. E non parlo dei libri, delle foto (rare, rubate in momenti di sua distrazione), dei vestiti del secolo scorso (stessa taglia, piccoline entrambe, stoffe buone, durano più dei vestiti nuovi comprati negli ultimi anni), delle riflessioni condivise a voce alta (parecchio alta nel suo finale di partita, era diventata quasi sorda), penso a qualcosa di meno facile da dire, più forte da sentire.
Per esempio l’atteggiamento nei confronti della paura.
Gabriella ha fatto in tempo a vedere le corde in riva al mare con le bagnanti legate che dovevano fingere paura per le onde, emettere gridolini almeno, se non urla di spavento…
Maestra elementare, da ragazza andava a piedi da sola sulle montagne pistoiesi a far lezione ai minatori e ai carbonai, la sera, dopo aver fatto scuola la mattina. E non aveva paura. “Ero incosciente? Forse… il punto è che non mi sono mai sentita sola”
Pieve di Sammommè. Appennino pistoiese
Quando partì (e ottenne la cattedra a Firenze), le fecero una festa. Ma non intendeva solo quello. Negli ultimi giorni prima che rendesse il suo ultimo respiro mi confidava la sua sola paura, quella del giudizio dell’Eterno. “Che ci sia … ne sono certa, ne ho la prova: in più di un secolo di vita non mi sono mai sentita sola”. Due guerre mondiali, tre figli, la fame, la miseria, le bombe e sempre un sorriso da far fiorire nel cuore, negli occhi e sulle labbra di chi aveva la fortuna di conoscerla.
Tra le sue tante lezioni (non insegnamenti solo a parole, lezioni donate con l’esempio), oggi scelgo questa per me preziosa: non curarsi del giudizio degli altri, non dare peso alle dicerie della gente, ignorare i pettegolezzi, farsi scivolare addosso malignità varie, temere solo il giudizio di Chi legge nel cuore.
E si vive con più leggerezza!
Non ricordo più il suono della tua voce, non ricordo più il profumo del tuo dopobarba, ma ricordo le tue battute di spirito e la tenerezza che riservavi a me, tua prima nipotina, dopo tre figli maschi; ricordo la bolla di plastica con sorpresa che mi comprasti vicino al Giardino dell’Orticoltura e come ridevi del mio girare fiera del regalo “una colana ho vinto una colana” (poi mai indossate collane, da grande),
“Giardino dell’Orticultura 16” di Sailko
ricordo qualche discussione, ogni diapositiva nel tuo studio di pittore per passione e insegnante di disegno e storia dell’arte per campare; ricordo come ti trasformavi in valoroso cavaliere con scopa per spada e lenzuolo per mantello a scacciare i fantasmi che temevo nelle mosche (passavo giornate intere da voi nonni, specie quando il mio fratellino era al Meyer con la meningite).
Sono venti anni oggi da quella notte di febbraio in cui te ne sei andato, nonno Giuliano, ricordo solo quanto ho pianto il giorno del funerale, incredula e smarrita. Non eri in quella bara, per me, non sapevo dove te ne fossi andato e nei mesi (e negli anni) a seguire ti cercavo ancora nelle vie di Firenze e nei quadri, in ogni museo, in ogni chiesa, in ogni strada e in ogni scatola di colori a olio. Ti ritrovo nell’odore della vernice, ti ho stretto al cuore la mia prima volta a Parigi, davanti all’Orsay pensavo “ci fosse nonno Giuliano!”… ti sorrido quando riprovo a dipingere, piango quando Viola accarezza il pelouche che ti avevo portato in ospedale e che mi hanno restituito dopo la tua morte. Non hai conosciuto la tua bisnipotina che pare sia portata per il disegno come la sua pazza mamma. L’ha conosciuta e abbracciata nonna Gabriella. Un dono che non posso disprezzare. Una nonna viva e davvero presente fino a 104 anni!Mi mancano le sue prediche, la sua severità giusta (esigente con gli altri, solo perché addirittura spietata con se stessa, a volte) e i suoi consigli saggi, affettuosi, ma mai melensi, come mi manca la tua dolcezza complice tra artistoidi e il tuo scherzare su tutto, fino all’ultimo respiro.
Venti anni senza te, nonno. Quest’anno, per la prima volta, neanche posso parlarne con nonna Gabriella… se ne è andata anche lei. Mi mancate da morire
Giacomo Alpini (7 novembre 1977 – 26 settembre 2013)
L’anno scorso la notizia della morte di un caro amico ancora tanto giovane ci sconvolse. Per me non era un buon momento, sfinita dall’allattamento e in bilico sull’orlo di una ricaduta… Passato un anno e cambiate tante cose. Sto molto meglio e sono tornata a vivere con gli altri (non solo mamma, insomma). Tornano alla mente tanti modi di dire, battute, discussioni, gusti personali… e Giacomo mi manca più che mai. Ascolto Mozart e mi manca. Bevo un tè e mi manca. Spesso veniva a casa nostra a berne una tazza e a parlare di musica, politica, letteratura, film e … fagioli. O di film con i fagioli (tutta la saga di Bud Spencer)
E stamani ho parlato con la sua mamma… Oggi, da mamma, non oso immaginare una vita dopo la morte di un figlio.
Domani sarà il compleanno della mia nonna, ridotta a pelle e ossa, ma sempre terribilmente lucida… 104 anni, roba da non credersi. Dopo aver vissuto due guerre, messo al mondo tre figli, cresciuto nipoti e visto nascere bisnipoti…
Domani andrò a dare un ultimo saluto a un altro ragazzo morto troppo presto. Dopo mesi di sequestro in cella frigo, domattina finalmente il corpo di Riccardo Magherini sarà salutato per l’ultima volta dalla famiglia e dagli amici. Il funerale si era già svolto subito dopo la morte, ma senza salma. Domattina ci sarà una messa per dargli un abbraccio tutti insieme.
Cuore gonfio di emozioni. Non ci sono parole… Ci vorrebbe la musica di Giacomo