Sei mesi in una cella frigorifero

Una foto scattata da Riki

Sei mesi da quella notte diladdarno in cui Riccardo ha perso la vita tenuto a terra da chi avrebbe dovuto proteggerlo (anche da se stesso, forse).
Sei mesi senza il bacio della buonanotte a Brando, il suo bambino di due anni ancora troppo piccolo per capire, non per sentire la mancanza del babbo.

Riki e Brando piccino

Sei mesi senza una tomba su cui pregare o portare un fiore… già, perché sei mesi dopo quella tremenda notte di marzo, il corpo di Riki è ancora chiuso in una cella frigorifero.

Babbo, fratello, amici – tanti amici, perché il Maghero era un cuore grande – possono portare fiori solo dove è stato ucciso, sotto una foto più volte offesa. C’è chi ruba i fiori, qualcuno ha spaccato il vetro e strappato il poster…

Riccardo Magherini e gigli

Non ci sono parole…
Ma il babbo di Riki le trova senza trascendere:

Caro Ministro della Giustizia,
Mentre lei si occupa giustamente dei tempi troppo lunghi dei processi giudiziari di questo Paese, cercando soluzioni per abbreviarli, io le racconto quel che sta accadendo invece nella mia città di Firenze.
Sono Guido Magherini. Mio figlio Riccardo è morto il tre marzo scorso mentre supplicava aiuto e chiedeva a quattro carabinieri che lo stavano comprimendo al suolo di smetterla di prenderlo a calci e di non farlo morire.
Riccardo chiedeva aiuto, lo faceva con educazione ma con disperazione. Con disperata educazione. Ma continuavano a stare su di lui e a prenderlo a calci. È morto dicendo: “sto morendo! Ho un figliolo”
Riccardo aveva 39 anni. Era incensurato . Era bellissimo. Era mio figlio, sig Ministro.
Dopo l’autopsia, per istinto, ho violentato il mio sentimento di padre ed ho rifiutato la sepoltura a quel mio figlio morto. L’ho messo in una cella frigorifera. Non mi fidavo. Feci bene. Infatti il pubblico ministero, mentre privatamente scriveva al mio primo avvocato che Riccardo era stato preso a calci mentre si trovava a terra steso prono, pubblicamente diramava comunicati rassicuranti dove, a dispetto di numerose testimonianze, si sosteneva perentoriamente che mio figlio non aveva subito violenze prima della sua morte. E mentre i colleghi di quei quattro carabinieri si affannavo a chiedere a quei testimoni di misurare la violenza di quei calci, il tossicologo nominato dalla procura faceva sapere che Riccardo era morto per colpa della cocaina e non per le violenze subite e negate o sminuite. Peccato che i medici legali, tutti, fossero di opinione ben diversa come da regolare verbale autoptico da tutti (compresi quelli nominati dagli indagati) sottoscritto.
Il corpo di mio figlio è stato poi risequestrato da quel PM che ne aveva prima autorizzato la sepoltura.
Il tossicologo, non pago, ha poi fatto nominare da quel PM un’altra professoressa in suo aiuto di comprovata professionalità ed autorevolezza per difendere le proprie tesi da tutti smentite. Si è però dimenticato di scrivere nella richiesta che si trattava della propria moglie. Sì, proprio di sua moglie.
Insomma, sig. Ministro, oggi sono compiuti ben sei mesi dalla morte di Riccardo Magherini e nulla fa la procura di Firenze mentre mio figlio continua a stare inutilmente in una cella frigorifera come fosse un pezzo di carne senza alcuna dignità ed immeritevole di umana pietà.
Sei mesi.
Mentre lei parla di accorciare i processi, al corpo di mio figlio è stata negata ogni dignità.
Mentre lei discute con le associazioni dei magistrati delle norme sulla loro responsabilità, il PM sta trasformando questa tragedia in una farsa grottesca. Si indugia, si dice, non si dice, si afferma e poi si nega, si chiede a marito e poi alla moglie, tutto mentre Riccardo Magherini, colpevole di nulla, giace morto, senza alcun rispetto, in una cella frigorifera nell’imbarazzo di chi non sa come fare per dare verità e giustizia alla sua vita prima ed alla sua morte poi.
Io sig. Ministro, non conto nulla. Non sono nessuno.
Sono solo un cittadino italiano di Firenze.
Ma sono il padre di un meraviglioso figlio che mi è stato portato via. Per sempre.
Le sono state fatte interpellanze , interrogazioni .
Ma io le chiedo: ma se si fosse trattato di suo figlio che avrebbe fatto lei?
Ma poi penso che Lei avrà probabilmente la stessa età di Riccardo.
Che valore ha per lei la vita di un cittadino italiano incensurato e padre di famiglia?
Per me è tutto. È tutta la mia vita. È il mio universo e la mia ragione di vivere.
Faccia qualcosa, rivolga il suo sguardo quaggiù, verso di noi, normali cittadini e ci dica qualcosa.
Io, francamente, non so più cosa pensare e a quale santo votarmi. Ma si sa, noi non contiamo niente.
Non siamo nessuno.
Suo
Guido Magherini

ancora doni per chi ancora aspetto

Oggi è soltanto un mese, un mese preciso, che so di essere in attesa. Intanto qualcuno prendeva forma dentro me, ma non lo sapevo.
Fino al test del 3 Luglio pensavo al solito ritardo. Ballerino anche il ciclo! Mai regolare, mai tranquilla…
La fine del primo trimestre si avvicina, meno male, ma, tra visite, esami, imprevisti, spaventi e cambiamenti più o meno difficili, non c’è stata ancora una pausa per goderci la sconvolgente novità in santa pace. A farci festa, per il momento, gli amici anche lontani nello spazio, ma veri vicini di cuore.
Ringrazio di nuovo l’amica fiorentina per il primo dono, contro ogni scaramanzia.

Poi ne sono arrivati da ogni parte d’Italia:

dal Nord sono arrivate a Firenze le scarpine di buon auspicio dono di Andrea, da Pescantina (in provincia di Verona).

Dal Mezzogiorno, la “Camicina della Fortuna”:  

il dono di Mati e Carlo da Casamassima (in provincia di Bari), una gentilezza squisita e un rito che non conoscevo. Lì per lì ero rimasta perplessa, pur nella gioia commossa: una cosina senza maniche in finissimo cotone, misura da neonato…  con parto previsto tra febbraio e marzo… ma prima che tirassi fuori il dubbio, mi ha scritto Mati per prima: “qui si usa metterla i primissimi giorni, un po’ per scaramanzia, un po’ per isolare la pelle delicatissima del neonato dal contatto con le fibre”. Ecco, sopra ti metterò qualcosa di più caldo 🙂

E per tornare al Centro, senza bisogno del postino, il regalo viola da Sesto Fiorentino:

Grazie, Nuvolone! Questa maglietta andrà bene sia per Viola che per Lorenzo 😉

25 settembre 2005 – 21 giugno 2012

“La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per omicidio colposo emessa in primo e secondo grado nei confronti di quattro agenti di polizia per l’omicidio di Federico Aldrovandi, morto nel 2005 a Ferrara durante un fermo. Si chiude così un lungo e tormentato percorso di ricerca della verità e della giustizia. Rinnoviamo la nostra solidarietà e vicinanza ai familiari di Federico, che in questi anni hanno dovuto fronteggiare assenza di collaborazione da parte delle istituzioni italiane e depistaggi dell’inchiesta.”
Molto pacato il comunicato di Amnesty International Italia, riportato dai quotidiani on line. Mi associo all’ultima frase, rinnovo la vicinanza in particolare alla mamma di Federico, che oggi non poteva esser presente a Roma per la sentenza. Ma non riesco a chiudere un bel nulla. E un ragazzo appena maggiorenne (aveva solo 18 anni) è stato massacrato di botte con ferocia ( la registrazione della Centrale operativa riportava: … l’abbiamo bastonato di brutto. Adesso è svenuto, non so… È mezzo morto), fatto passare per un invasato violento in evidente stato di agitazione, non è “morto durante un fermo” per chissà quale motivo…
Leggo  qui: “Gli agenti non finiranno in carcere, visto che la pena è quasi completamente coperta dall’indulto. Nei loro confronti verrà inflitta una sanzione disciplinare, non escluso il licenziamento. I quattro imputati fino ad oggi hanno continuato a prestare servizio nella polizia, anche se sono stati trasferiti da Ferrara”
Oltre al massacro, il depistaggio… e questa è la pena. Cioè niente (“non escluso il licenziamento” … mi sarebbe parso il minimo, subito, senza aspettare la sentenza definitiva. E non me ne vogliano i garantisti. Questi agenti non erano impiegati a una scrivania, ma responsabili della pubblica sicurezza! Sospenderli almeno andava fatto subito. O no?
A Manu che esce la sera raccomando sempre di non guidare ubriaco, non fare sesso senza preservativo e stare alla larga dai poliziotti.
Ma dovrei dirgli di scappare presto da questo paese (minuscola intenzionale).
O forse sbaglio anche qui, forse in ogni Stato il potere si traduce impunemente in abuso di potere…
Non cerco commenti, non ditemi niente, neanche volevo commentare… non si commentano le sentenzelo Stato siamo noi  e no, non mi riesce ingoiare tutto in silenzio.
Chi vuole può leggere qui una lettera di Patrizia Moretti Aldrovandi.
Era estate anche allora, luglio 2010 e già erano passati quasi cinque anni dal pestaggio che uccise suo figlio.
Federico venne pestato a morte il 25 settembre 2005.
P.S. mi sembrava strano che Amnesty si esprimesse in maniera così blanda (come riportato all’inizio, fidandomi dei giornali…). Il resto del comunicato:
Secondo l’organizzazione per i diritti umani, “il procedimento giudiziario per l’omicidio di Federico Aldrovandi e la definitiva sentenza di condanna, chiamano in causa in modo grave ed evidente la responsabilità delle forze di polizia italiane circa l’uso della forza“.
Amnesty International Italia auspica che la sentenza odierna sproni le autorità italiane a dare attuazione alle raccomandazioni degli organismi internazionali per prevenire ulteriori tragiche violazioni dei diritti umani come l’omicidio di Federico Aldrovandi.
In un contesto caratterizzato dalla perdurante mancanza di un organismo indipendente di monitoraggio sui diritti umani e sull’operato delle forze di polizia, richiesto dagli standard internazionali e sollecitato da tempo da Amnesty International, questa sentenza deve interrogare le autorità italiane in merito alla formazione e al comportamento degli agenti di polizia e alla loro responsabilità circa la protezione delle persone.
Amnesty International Italia coglie l’occasione di questa sentenza per ricordare la stringente necessità di adeguare l’ordinamento interno alle norme e agli standard del diritto internazionale, in primo luogo attraverso l’introduzione del reato di tortura nel codice penale e l’adozione di meccanismi di prevenzione dei maltrattamenti.

Diaz

Siamo stati a vedere Diaz (don’t clean up this blood) il film di Daniele Vicari dedicato a quella che Amnesty International ha denunciato come “la più grande violazione dei diritti umani in Occidente dopo la Seconda Guerra Mondiale”, perché a Genova, nei giorni del G8 del 2001, ci fu una vera e propria sospensione dei diritti civili.

irruzione nella scuola

Le mani alzate di manifestanti disarmati, rifugiati nella scuola Diaz di Genova, non fermano un solo manganello. Manganellate, calci in faccia, calci in pancia, stupri mimati, denti spaccati… un sangue che non si lava via.
Un blindato sfonda il cancello della scuola come fosse di cartone.
Trecento caschi blu contro ragazze ventenni, pensionati, cittadini inermi, anarchici sognanti (gli unici che sanno salvarsi, scappando in tempo o trovando rifugio in un bar o in case private – lontano da caserme, scuole, ospedali, cioè lontano da dove un comune cittadino dovrebbe poter cercare aiuto sempre – gli anarchici organizzati).
Trecento uomini al servizio dello Stato si sfogano come bestie. Impuniti. Abusi di ogni tipo, pestaggi gratuiti, sadismo puro, roba da dittatura sudamericana. In Italia, nel 2001.

Sono passati più di dieci anni dalla “macelleria messicana” (come alla fine, soltanto nel 2007, uno dei protagonisti del blitz, il vicequestore aggiunto Michelangelo Fournier, si decise ad ammettere in aula), ma certe ferite non si rimarginano.
Nessuno degli agenti di pubblica sicurezza (!) coinvolto è stato sospeso dal servizio.
I caschi sono ancora senza numero o segno identificativo.
Il reato di tortura non è ancora contemplato dal codice penale.

Tra i sopravvissuti, Alma Koch ha visto il film con gratitudine e uno strano sollievo, come se finalmente un documento potesse raccontare per immagini quel che ha vissuto e che nessuno sembrava credere possibile.

Il film è duro, non inventa, non consola. Non è stato possibile girarlo in Italia, molte scene sono state ricostruite a Bucarest, altre in Francia.
In Italia ora si può vedere al cinema. Mi chiederei perché se non sapessi che quasi certamente lo vedranno solo quanti (come noi) già sapevano e comunque non dimenticano. Negare sarebbe impossibile, visto che c’erano anche ragazzi spagnoli, tedeschi, finlandesi… e allora ce lo fanno vedere, lo passeranno nelle sale per un paio di settimane e poi calerà, come sempre, l’oblio.

Anche se avevo già visto molto e poi letto nei dettagli quel che viene fuori nel film, non sono riuscita a trattenere le lacrime.
Non si dimentica

Pino parigino

Nel periodo del nostro prossimo soggiorno parigino verrà disputato l’incontro calcistico Atalanta–Fiorentina,  ma dopo il sabato della vergogna (17 marzo 2012, manita da’ gobbi in casa nostra), mi rifiuto di seguire le gesta dei signorini che indossano senza ritegno la Maglia Viola, anche se di qui alla fine del campionato ogni partita potrebbe essere una sfida per la salvezza o un passo verso la serie B. Certo che sarebbe bello tornare all’Havane Cafè!
La sera dell’arrivo a Parigi, la mia prima volta nella città che già sognavo e tanto amo, gli Esiliati del Viola Club Paris mi fecero sentire subito a casa… bisogna che li riveda, sì, bisognerà cogliere di nuovo l’occasione di sentirsi uniti da quel magico colore.

Mentre l’Italia si sfaldava e tremava e piangeva sotto la pioggia, oltre che nel fango non solo metaforico, mi godevo con lo sposo un incantevole autunno nella magica città delle mille luci… poi, al rientro, senza voglia di riprendere contatto con la realtà più avvilente, mi  ero sentita parecchio a disagio, ma per qualche giorno almeno ero riuscita a dirmi che piuttosto mi sarei dovuta sentire in colpa se non avessi scelto di scacciar via i sensi di colpa e tutti gli alibi senza senso che frenano la gioia di vivere con l’anima spalancata. (Esserci, leggerne, piangerne… avrebbe cambiato qualcosa?).
Oggi è diverso. Mi sento a disagio se mi tradisco, non se godo. Mi piace ricordare la vacanza parigina prima di rinnovare l’incanto? Ricordo.

Il giorno dell’arrivo, appoggiati i bagagli in un angolo della hall, perché la nostra camera non era ancora pronta, per prima cosa una girata per le vie del quartiere e la scoperta di tanti giardini, non famosi e spettacolari come le Tuileries,

ricche di statue, fontane, viali e vialetti, giardini nei giardini e curve e spiazzi affollati di gabbiani vanitosi (si mettevano in posa per le foto!)

o gli Champs Elysées (enormi e fioriti),

ma luminosi, ricchi e profumati ovunque

… anche in periferia spettacoli di rami e foglie colorate d’autunno

e anche a Parigi abbracciavo i pini,

abbracciavo un pino parigino

come, anche a Parigi, si fraternizzava con i manifestanti

e si leggevano giornali di lotta e di protesta…

anche senza smettere di fare i turisti, non per caso, ma per amore

[ à Paris, 2]