Bambini nel tempo

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” Non poteva parlarne con sua moglie perché anche lei lavorava nell’Amministrazione, come ufficiale medico, e non voleva coinvolgerla. “Mi medicherà lei, una volta a casa” (…)
Stephen chiamò per telefono un taxi e, mentre aspettavano che arrivasse, Morley parlò dei suoi figli. Aveva tre maschi.
L’amore che provava per loro non costituiva solo una gioia, ma anche un modo per non scordarsi la propria vulnerabilità. Nei momenti di massima crisi ai giochi olimpici, lui e la moglie erano rimasti svegli tutta la notte, ammutoliti dalla paura per i loro ragazzi, terrorizzati dalla propria impotenza a difenderli dal pericolo. Sdraiati vicini, non erano neppure  più in grado di dar voce ai pensieri, quasi cercavano di non ammettere con se stessi di non poter chiudere occhio. All’alba,  il più piccolo si era arrampicato come al solito nel loro letto e solo allora sua moglie era scoppiata a piangere con tale strazio che alla fine Morley si era visto costretto a riportare il bambino nella sua stanza e a rimanere a dormire con lui. Più tardi lei gli aveva confessato che a farla cedere era stata la fiducia assoluta del piccolo: quel bimbo pensava che bastasse raggomitolarsi sotto le coperte accanto alla mamma, ma siccome non era così, siccome poteva essere distrutto nel giro di pochi minuti, le era sembrato di averlo tradito. Ricordando la propria incivile noncuranza di quel periodo, Stephen scosse il capo senza dire nulla.

Dopo che Morley se ne fu andato, entrò nella stanza vuota della figlia e accese la luce ″

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Iniziato con ansia e lasciato più di una volta per fatica mentale e dolore negli ultimi mesi, da un pezzo avevo finalmente letto tutto intero il romanzo Bambini nel tempo di Ian McEwan, regalo gradito di un’amica carissima. Finalmente si fa per dire, perché avrei voluto continuasse…
Prima di passare a un romanzo decisamente diverso, dopo qualche settimana senza letture di puro piacere, mi devo congedare con qualche citazione almeno da questo libro amato e temuto.

“Restò così per ore, l’intera notte, assopendosi brevemente ogni tanto e senza muoversi o allontanare lo sguardo dalla grata, quando si svegliava. In quell’arco di tempo gli parve che qualcosa si stesse raccogliendo nel silenzio circostante, il sollevarsi lento di un’onda di consapevolezza, di una specie di marea strisciante che, senza esplodere o frangersi drammaticamente, lo portò, intorno alle prime ore del mattino, al primo autentico flusso di comprensione della vera natura della sua sofferenza. Tutto ciò che aveva preceduto quell’evento non era che finzione, una banale e frenetica imitazione del dolore. Albeggiava appena quando incominciò a piangere e fu questo momento nella semioscurità che avrebbe in seguito fatto coincidere con l’inizio del suo lutto”

In certi momenti era troppo il coinvolgimento emotivo (Stephen perde la sua bambina di tre anni al supermercato, la crede smarrita, la teme rapita, si rifiuta per anni di pensarla uccisa…e sprofonda in una depressione lontana parente del lutto, comunque innaturale e insostenibile), in altri era la mia bimba di tre anni viva e presente a rapire me e ogni mia capacità di ascolto, attenzione, energia. Ma quando riuscivo a uscire da me e dalla cura di Viola per entrare nel mondo di Stephen e Julie, fantasma di Kate compreso, Charles e Thelma… era come rielaborare in sogno tanta roba. Senza dormire.

Ma il lato importante della faccenda era emotivo, e con quello gli riusciva più difficile confrontarsi o parlarne. Desiderava la sicurezza dell’infanzia, la mancanza di potere, l’obbligo all’obbedienza e la libertà che ne consegue: libertà da denaro, decisioni, progetti, esigenze. Diceva sempre di voler fuggire dal tempo, dagli appuntamenti, dagli orari, dalle scadenze. L’infanzia era per lui assenza di tempo, ne parlava come di uno stato mistico. Anelava a tutto questo, non faceva che parlarmene e deprimersi e intanto continuava a far soldi, diventava famoso, si prendeva centinaia di impegni nel mondo adulto, scappava dai suoi pensieri. Il tuo libro, Lemonade, ha significato molto per lui [Thelma a Stephen dopo il suicidio di Charles]. Diceva che era come se una parte di lui si rivolgesse all’altra. Diceva che aveva capito, leggendolo, di aver delle responsabilità precise nei riguardi dei propri desideri, e di dover fare qualcosa in proposito, prima che il tempo rendesse tutto impossibile. Quel libro metteva in guardia contro la mortalità. Doveva fare qualcosa in fretta o rimpiangere di non averlo fatto, per sempre ”

Catartico.
Scritto bene come sempre scrive bene McEwan, con ironia e sensibilità. Forse troppe digressioni, ma colme di poesia.
C’è qualcosa che non mi convince, in questo suo famoso romanzo, altri mi sono piaciuti di più: Sabato in particolare, Espiazione, Il giardino di cemento… e vorrei sapere che fine ha fatto Lettera a Berlino, regalo di compleanno che mi tenevo in serbo… sparito come Kate?

 

Dalla  quarta di copertina:

Stephen Lewis, autore di fortunati libri per bambini, padre e marito felice, un giorno si reca al supermercato con sua figlia Kate, e mentre è intento a svuotare il carrello alla cassa si accorge di aver perso la bambina. Rapita? Uccisa? Fuggita? Ogni cosa intorno a lui da quel momento sembra precipitare. Il vuoto doloroso che lascia la sparizione di Kate dà il via a una serie di azioni e reazioni che porteranno Stephen a rivedere tutta la sua vita. Le sue tante certezze incrollabili si mostreranno deboli; abitudini e atteggiamenti mai messi in discussione riveleranno il loro lato più fastidioso. Senza mai perdere di vista il suo protagonista, McEwan racconta il viaggio di un uomo messo di fronte all’inaccettabile, facendoci percepire la precarietà e la fragilità in cui viviamo, e nello stesso tempo restituendoci la nostra umana e indistruttibile speranza.

Letture sparse

“Ga!
“No, “gatto” prima del caffè no…”

GaMi piace leggere a Viola le fiabe, mi piace rileggerle con lei e volevo proprio ritrovare quelle dei fratelli Grimm che nonna Gabriella mi leggeva quando ero piccina.
Per cominciare va bene la raccolta illustrata con il gatto in copertina, il gatto con gli occhiali e un libro tra le zampe che per Viola è “Ga”. Un libro che lei adora sfogliare di continuo, rimescolando le storie…

con Viola che sfoglia il libro

e a volte mi stanco a leggere dei sette capretti che incontrano Raperonzolo mentre Biancaneve continua a spazzare la casa dei sette nani e poi scappano con Cappuccetto Rosso dentro la storia dei Musicanti di Brema, perché tanto si torna sempre a quella fiaba lì, con Viola incantata dai briganti spaventati dopo l’irruzione nel rifugio di asino, cane, gatto e gallo…
All’alba, prima di aver preso un caffè, no. Dopo se ne può riparlare e ricominciare a leggere come se si potesse finire una storia in una volta, per finire a recitare la parte del lupo e della strega quasi in contemporanea con quella dell’asino che vuole andare a Brema e della mamma di Raperonzolo fissata con quell’orto…

15 Viola e gattoE poi fuori, al giardino o in piazzetta, più vicino a casa… comunque con un po’ di verde in mezzo a cemento e asfalto.

12 CateViola4

Viola è curiosa e golosa di tutto, non solo di biscotti…
aprile 2014 Viola golosa

7 Viola con  me e Sandro

La sera arrivo cotta a puntino, uno sguardo al cielo tra la pappa e la ninnananna e letture sparse a distrarre i fantasmi.13 Luna e nuvole

Dopo “Espiazione” mi sono regalata una carezza con “La gita di mezzanotte” di Roddy Doyle. Un libro per bambini. Delicato, ironico, scritto bene, commovente senza esser sdolcinato. Come una favola, anche per grandi, per una serata di conforto.

Gita

 E poi è arrivato “Il giardino di cemento”.

4 libro e limoncelloDuro, inquietante, scabroso. Non mi è piaciuto quanto “Espiazione”, ma ci ho ritrovato il dono di Ian McEwan almeno in potenza, forse già un po’ in atto: la capacità di entrare nella psicologia di un adolescente sporco, isolato e smarrito come nei pensieri di una bambina in preda al demone dell’ordine. E la capacità di farci entrare nel mondo dei suoi personaggi. Senza giudicare.

“Non ho ucciso mio padre, ma certe volte mi sembra quasi di avergli dato una mano a morire. E se non fosse capitata in coincidenza con una pietra miliare nel mio sviluppo fisico, la sua morte sembrerebbe un fatto insignificante in confronto a quello che è successo dopo. Parlai di lui con le mie sorelle per tutta la settimana seguente al giorno in cui morì, e Sue di sicuro pianse un po’ quando gli uomini dell’ambulanza lo rimboccarono in una vivace coperta rossa e lo portarono via. Era un uomo fragile, irascibile e ossessivo, con le mani e il viso giallastri. Includo qui la breve storia della sua morte solo per spiegare come mai le mie sorelle ed io ci trovammo con tanto cemento a nostra disposizione”

A metà libro ero già un’altra sorella di Jack, Julie, Sue e Tom … diffidente nei confronti dell’estraneo, di nuovo prigioniera nel mondo a parte che l’adolescenza è spesso o quasi sempre, anche senza giardini di cemento e macabri segreti in cantina. E l’angoscia mi ha presa a fine lettura, quando il mondo di fuori si riprende i quattro orfani… e probabilmente li dividerà, perché arriva la polizia o arrivano assistenti sociali, comunque gente di fuori, parecchia gente sul vialetto e la luce azzurra roteante che da una fessura nelle tende entra a svegliare Tom

“Ecco qua! – disse – ci siamo fatti una bella dormita.”


Un incubo, ben scritto.

Espiazione. Difficile tentativo

Balham 1940 London

“… era accaduto tanto tempo prima e tutte le conseguenze a ogni livello, dalla più insignificante alla più colossale, si erano già verificate. Qualunque cosa fosse successa in futuro, per quanto superficialmente insolita o sconvolgente, avrebbe contenuto anche un che di noto e di familiare che le avrebbe fatto bisbigliare, ma solo tra sé e sé: Ah già. Ma certo. Avrei dovuto saperlo”

e, poche pagine prima,

 “ si rese conto che fin dal mattino si era sentita strana, e che guardava alle cose in modo insolito, come se tutto fosse già passato da un pezzo ed esaltato da un’ironia postuma che lei non era in grado di afferrare appieno”

Solo la lettura delle ultime pagine, un epilogo sorprendente, rivela appieno quel che sin dai primi capitoli suona come un accenno alla chiave del romanzo. C’è una colpa, sì, c’è una storia di vite rovinate per un atroce errore, ma l’espiazione non sarà mai sufficiente. E non sarà nelle azioni, non soltanto. E conterrà una buona dose di amara ironia postuma, letteralmente.

Prima di Espiazione non avevo letto altro di Ian McEwan, a parte qualche citazione e diversi pareri sul suo talento. Una rivelazione e un dono davvero. Dalla maternità (ultimi mesi dell’attesa e quasi tutto il primo anno con la piccina) nessuna lettura mi aveva catturata tanto. La prima parte, quasi duecento pagine per una sola torrida giornata di estate (compresa la notte che segnerà tutta la vita della protagonista), mi è sembrata un sogno, un volo in un altro mondo; non potevo smettere di respirarne i colori, la luce, le sfumature di sentire e l’atmosfera ricreata da uno scrittore uomo che sembrava una donna per certi tratti.
La seconda e la terza parte, piene di dolore e avvenimenti, non prive di passaggi commoventi, narrate ciascuna con un unico punto di vista anche se non in prima persona, mancano della sinfonia di tanti punti di vista che anima la prima parte e soprattutto della straordinaria penetrazione dei sentimenti, specialmente quelli di una ragazzina nella pericolosa innocenza dei tredici anni, lo “spazio transitorio che estendeva i propri confini imprecisi dalla nursery al mondo degli adulti”, un caos mal tollerato da Briony, “una di quelle bambine possedute dal desiderio che al mondo fosse tutto perfetto” e convinta di esser diventata una vera scrittrice nel momento in cui alla realtà sfuggente impone e sovrappone la visione suggerita dal demone dell’ordine che ferocemente la guida.

“La verità era contenuta nella simmetria, in altre parole, si radicava nel buonsenso. Era stata la verità a guidare lo sguardo. Perciò quando Briony ripeté, più e più volte, «Io l’ho visto», non mentiva, era anzi assolutamente onesta e convinta.”

Con le migliori intenzioni, senza malizia, non per cattiveria, il suo errore procura un danno irreparabile. Una vita di sforzi e sacrificio non basterà per espiare.

espiazione copertina

“ … solo quella notte aveva capito che cosa significava essere un’infermiera.
Non aveva mai visto piangere un uomo in vita sua. Dapprima la cosa l’aveva sconvolta, ma nel giro di poche ore non ci badava nemmeno più. D’altra parte lo stoicismo di alcuni soldati la sorprese fino a lasciarla stupefatta. Gli uomini che tornavano in reparto dopo l’amputazione di un arto, parevano sentirsi in dovere di fare battute atroci. E adesso con che cosa la prendo a calci mia moglie? Ogni segreto del corpo veniva reso pubblico: ossa sporgenti dalla carne, brandelli di visceri fuoriusciti, nervi scoperti. Da quella prospettiva tanto inedita quanto indiscreta, Briony imparò una cosa ovvia e semplicissima che aveva sempre saputo, come tutti: ogni persona è, tra le altre cose, qualcosa di facile da rompere e difficile da riparare”

Per chi non l’avesse ancora letto (beati i ritardatari! Se l’avessi letto prima mi sarei privata di questa magnifica evasione nelle sere di fine inverno, appena messa a letto Viola), non mi azzardo a rivelare il finale, ma per chi prima di procurarsi una copia volesse avere un assaggio della trama (che non è il meglio del libro, precisiamo), mi limito a riportare quello della quarta di copertina:

“All’età di tredici anni, in un caldo giorno d’estate del 1935, Briony Tallis sente di essere diventata una scrittrice. La sera stessa, accusando di un crimine odioso un innocente, commette l’errore che la segnerà per tutta la vita. Eppure la giornata era iniziata sotto i migliori auspici. C’era una commedia da mettere in scena, i cugini arrivati dal nord per trascorrere qualche tempo in casa Tallis. Da Londra invece sarebbe arrivato per il weekend l’amatissimo fratello maggiore Leon con un amico, industriale della cioccolata. Soltanto la sorella maggiore Cecilia impensieriva Briony per il misterioso rapporto che la legava a Robbie Turner, figlio della loro donna di servizio.
Tutti i personaggi entrano in scena, ma, nella commedia della vita, non ci sono prove prima della recita. Presto, sarà troppo tardi per fermare la macchina dell’ingiustizia e la guerra arriverà a spazzare via il vecchio mondo con le sue raffinate e rassicuranti ipocrisie”

Espiazione in attesa

« “Deh, quando tu sarai tornato al mondo,
e riposato de la lunga via”,
seguitò ‘l terzo spirito al secondo,
“Ricorditi di me, che son la Pia;
Siena mi fé, disfecemi Maremma:
salsi colui che ‘nnanellata pria
disposando m’avea con la sua gemma”. »

matrimonio di sangue e dietro espiazione

Prima di cominciare a leggere il romanzo di McEwan che mi ero regalata per l’anno nuovo, volevo finire un libro iniziato diverse volte in questi mesi e lasciato perdere troppe volte…
Il tempo per leggere non torna da sé, va riconquistato. E non solo il tempo, pure il sentimento di potersi concedere momenti solo per sé.
Difficile ritrovare il ritmo e la voglia di riaccendere l’attenzione, spesso cedevo al bisogno di facili distrazioni (qualche thriller di Kathy Reichs, esaurita la scorta di Cornwell… tutti in prestito da un amico per farmi svagare al tempo della ricaduta, in parte restituiti via via e poi lasciati sullo scaffale quando ero in attesa e quel genere non si sposava bene con la pancia) o alle solite letture su neonati e dintorni (ma come? Quando finalmente la piccina dormiva beata, anche i momenti liberi…? Monomania comune alle neomamme o particolare insicurezza personale? Ormai la neonata sta per compiere un anno, tempo di riprovare a pensare davvero anche ad altro. E non solo al resto dei doveri. Me lo devo ripetere ogni tanto. Anche se le ultime sere e nottate sono state non meno impegnative dei giorni, insomma, di nuovo scarseggiano i momenti di quiete).
Finito di leggere per l’Epifania, Matrimonio di sangue di Mario Sica mi riportava tra Siena e Roselle, tra San Galgano e Pitigliano, tra le corti signorili della Maremma divisa tra guelfi e ghibellini alla fine del XIII secolo e soprattutto alla figura della Pia, cantata da Dante  nel V del Purgatorio, però presentata in maniera diversa in questo romanzo… preso come un romanzo, storico sì, in un certo senso, attento alle vicende del tempo narrato, ma non come un documento che sveli finalmente il mistero della nobile fanciulla senese andata in sposa al signore di Prata e scomparsa in Maremma (non rivelo il finale, ovviamente non lieto, ma qui diverso dalla “vulgata”). Un manoscritto trecentesco ritrovato per caso, un giullare che diventa guerriero e non solo, una delicata storia d’amore tra cronache di battaglie, castelli assediati e personaggi storici di passaggio, da Guido di Montfort a Ghino di Tacco che diventa il famoso bandito… un divertimento gustoso.

la cisterna del castello di Tatti

Se il tempo per leggere è una conquista, figurarsi scrivere un commento preciso ai libri letti (non dico una recensione) tra pappe, pannolini, un pianto da dentizione, una bizza, le grane della vita quotidiana (non più tra parentesi, ormai la “bolla magica” sta svanendo) e preoccupazioni che non mancano mai…  solo un appunto. Il titolo del romanzo di Mario Sica sembra più da thriller. Il matrimonio c’è e il sangue non manca, ma nel manoscritto che l’autore dice di aver scoperto a Siena, Ricordanze di Placido Abbate Sancti Galgani da me Messer Ranieri ricolte ad utile consiglio de’ giovani, non si allude all’uxoricidio della tradizione, come mancano le presunte colpe della bella Pia. Non c’è adulterio, neanche il sospetto… sangue e matrimoni sono motivati da giochi di potere e la morte arriva anche senza clangore di spade, nella malaria della Maremma amara.

rovine del Castello di Pietra


Archiviato il Matrimonio di sangue, forse è arrivato il momento di cominciare Espiazione (un romanzo sui sensi di colpa sarà catartico?)

espiazione e dietro matrimonio di sangue