tenerezza, silenzio, saluti…

la musica“Perché scrivo? Per paura. Per paura che si perda il ricordo della vita delle persone di cui scrivo. Per paura che si perda il ricordo di me. O anche solo per essere protetto da una storia, per scivolare in una storia e non essere più riconoscibile, controllabile, ricattabile…”
 Faber

Faber

“Qualcuno (mi pare Majakovskij) ha detto “Dio ci salvi dal maledetto buonsenso ”: se tutti fossero normali e se fossero dotati esclusivamente di buon senso, non esisterebbero gli artisti e probabilmente nemmeno i bambini.”

Fabrizio De André
(Genova, 18 febbraio 1940 – Milano, 11 gennaio 1999)

m’innamoravo di tutto

E adesso che ho bruciato venti figli sul mio letto di sposo
che ho scaricato la mia rabbia in un teatro di posa
che ho imparato a pescare con le bombe a mano
che mi hanno scolpito in lacrime sull’arco di Traiano
con un cucchiaio di vetro scavo nella mia storia
ma colpisco un po’ a casaccio perché non ho più memoria

e a un dio senza fiato non credere mai…

10 pupazzino a letto

Un morbido agnellino di stoffa che dorme con noi da qualche tempo, poi andrà nella culla di Viola per farle sentire sempre vicini gli odori di mamma e babbo.
Immagini, pensieri, parole e sentimenti sparsi senza un filo dove e come vengono…
Tempo di ascolto più che di condivisione.
Raccolgo le forze…
e ripenso ai miei anni di sperdimento con una tenerezza sconosciuta.
Da un po’ di tempo non ascolto come prima le canzoni di Faber (consumate le cassette, a Viola lascerò forse qualche cd, ma che musica ascolteranno i ragazzi quando sarà ragazza lei? Con che supporto? Dovrò raccontarle quel che non si trasmette materialmente), oggi pensavo all’anniversario della sua morte. Piansi come se ne fosse andato un fratello maggiore, uno zio, un amico… poi, ovviamente, a parte la curiosità per quel che avrebbe scritto e cantato ancora, non mi è mancato come una persona cara: quel che amavo di lui, in parte è rimasto per me e per chi lo ascoltava. Ci sono i dischi per risentire la sua voce unica ogni volta che si vuole. Mancherà davvero a chi ne ha perso l’odore, il calore, la presenza a cena e a letto.

Oggi se ne è andata anche Mariangela Melato. Una coincidenza tra le intermittenze del cuore.

Mariangela Melato

Mariangela Melato (Milano, 19 settembre 1941 – Roma, 11 gennaio 2013)

 

un porto

Genova rossa, rosa ventilata
di gerani ti facevi strada
Genova di arenaria e pietra
anima naufragata

 Genova 9 Luglio 2011
E tra le luci all’uscita dal tunnel, tra i respiri via via meno stretti, oggi voglio ricordare la prima volta a Genova, già percorsa e sognata tante volte con De André (Fabrizio e il figlio Cristiano), in una girata di un giorno, dal mattino al tramonto, ai primi di luglio di un anno che non desidero più cancellare.
Nel bene e nel male, quel 2011 che credevo di dover dimenticare, mi ha fatta perdere e ritrovare.
in questo mondo di squali
(in questo mondo di squali)
La scusa (l’occasione) per abbandonare l’afa fiorentina e seguire il vento tra le vie della città vecchia e il sale al porto in compagnia dello sposo e del nostro  amico Nuvolo, una mostra al Museo Luzzati, nel Porto Antico di Genova, dedicata alle opere di Guillermo Mordillo.
Stralunata, ma felice come una bambina, dal porto con le sagome di chitarra decorate…
Cate e Faber
alla ricerca della via del cuore “mi scusi? Per Via del Campo?” (occhiate strane…)
(dai diamanti non nasce niente,
dal letame nascono i fior)
a passi svelti nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi
(ha già troppi impegni per scaldar la gente d’altri paraggi
),
per portarci poi stremati a sedere al sole, con le gambe pesanti, i piedi cotti e il cuore alleggerito.
p.s. non c’era solo De André a farmi cara Genova.
La prima Città vecchia che ricordi con amore è nella poesia di Umberto Saba:

Spesso, per ritornare alla mia casa
prendo un’oscura via di città vecchia.
Giallo in qualche pozzanghera si specchia
qualche fanale, e affollata è la strada.

       Qui tra la gente che viene che va
dall’osteria alla casa o al lupanare,
dove son merci ed uomini il detrito
di un gran porto di mare,
io ritrovo, passando, l’infinito
nell’umiltà.

 Qui prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d’amore,
sono tutte creature della vita
e del dolore:
s’agita in esse, come in me, il Signore.

       Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la via

guerra e pace

Ho visto la smorfia del suo dolore,
ho visto la gloria nel suo sguardo raggiante
anche io vorrei luce ed amore
ma, se arriva, deve essere
sempre così crudele e accecante?  

Trocadéro e  Tour Eiffel mi hanno delusa, ma l’entusiasmo è tornato alto con la visita al Musée de l’Armée

(dovevo – su richiesta del babbo pacifista e grande appassionato di storia anche militare – andare a salutare Napoleone sepolto aux Invalides)

(Sandro si finge invalide aux Invalides)

abbastanza stranita dalla folla di turisti intorno alla ferraglia, mi sono ripresa nel complesso di edifici che in armonioso stile neoclassico ospitano, oltre alle spoglie dell’Imperatore, la cappella di Luigi XIV, anziani reduci e tombe di eroi, armi e trofei di guerra dal Seicento alla Seconda Guerra Mondiale.

Accanto a carri armati e cannoni mi sentivo come una bambina davanti a giocattoli speciali… e solo così i bambini dovrebbero conoscere le armi: in un museo, come reperti del passato, pezzi di storia da non ripetere.

E poi correre fuori a giocare tra le foglie gialle in un prato verde sotto il cielo azzurro e le nuvole bianche

  … incuranti di schieramenti armati per visite di Stato.

E rincorrere luci e nuvole sopra il Pont Alexandre, sotto l’egida di angeli muti

Simile senso di pace nel solenne silenzio dentro Notre-Dame, incantata dalla luce colorata che filtra dai rosoni e toccata in fondo all’anima da qualcosa che non so dire, ma che posso ricordare con il volo di un gabbiano, visto per un momento come la colomba dello Spirito Santo o della PACE…

come ricordo che proprio lì sono voluta tornare, anche l’ultimo giorno a Parigi, a rendere omaggio all’eroina bruciata come eretica, ora venerata come santa…

anche oggi, a Jeanne D’Arc dedico la canzone di Faber  

Attraverso il buio Giovanna d’Arco
precedeva le fiamme cavalcando
nessuna luna per la sua corazza
nessun uomo nella sua fumosa notte al suo fianco.

Della guerra sono stanca ormai
al lavoro di un tempo tornerei
a un vestito da sposa o a qualcosa di bianco
per nascondere questa mia vocazione al trionfo ed al pianto.

Son parole le tue che volevo ascoltare
ti ho spiata ogni giorno cavalcare
e a sentirti così ora so cosa voglio
vincere un’eroina così fredda, abbracciarne l’orgoglio.

E chi sei tu lei disse divertendosi al gioco,
chi sei tu che mi parli così senza riguardo?
Veramente stai parlando col fuoco
e amo la tua solitudine, amo il tuo sguardo.

E se tu sei il fuoco raffreddati un poco,
le tue mani ora avranno da tenere qualcosa,
e tacendo gli si arrampicò dentro
ad offrirgli il suo modo migliore di essere sposa.

E nel profondo del suo cuore rovente
lui prese ad avvolgere Giovanna d’Arco
e là in alto e davanti alla gente
lui appese le ceneri inutili del suo abito bianco.

E fu dal profondo del suo cuore rovente
che lui prese Giovanna e la colpì nel segno
e lei capì chiaramente
che se lui era il fuoco
lei doveva essere il legno.

(Fabrizio De André)

[à Paris, 7]