Bisogno di spostare l’attenzione dai richiami velenosi di una dipendenza vinta per un bel po’ e poi tornata a schiacciarmi. Si riparte, ci riprovo, un giorno alla volta e intanto affido tutto, anche il passato che non deve più tenermi legata, ma mentre oso la fiducia in un aiuto invisibile, ci metto quel poco di impegno che posso, tengo le mani occupate a pasticciare con i colori e le immagini dei sogni confusi… una specie di terapia selvaggia.
Domenica pomeriggio in casa, a Firenze, nella Toscana zona rossa per tentare di arginare i contagi, nel primo freddo di questo autunno inoltrato… in piena pandemia.
Nei giorni scorsi ancora dolcezza di aria freddina, sì, ma caldo oro tra le foglie in danza dai rami tesi contro il cielo inondato di luce…
Mentre il mondo fronteggia il covid, dentro me altre battaglie… non da sola, però, mai da sola.
Dove le rose sbocciano in ogni stagione, dopo il buio dell’inganno e nella notte ancora dei dubbi, la luce della pace.
A Firenze quest’anno, causa emergenza covid, la scuola è finita a marzo (per Viola a fine febbraio, era già a casa con una tonsillite e sarebbe tornata proprio nei giorni della decisione ‘provvisoria’ di chiudere tutte le scuole…) , in altre città d’Italia anche prima. Sì, la didattica a distanza, ok… ma per i bambini e i ragazzi di elementari e medie i compiti su piattaforma digitale e le videochiamate con zoom o meeting potevano davvero sostituire le lezioni in classe, lo stare insieme con i coetanei in un contesto sano? A San Jacopino dai primi di luglio è iniziato un bel progetto che non vuol esser chiamato ‘centro estivo’ perché non c’è paragone con il CRE degli anni passati, dati i limiti imposti dalla normativa anti covid, ma per i bambini piccoli almeno è davvero una bella esperienza. Nelle prime due settimane, fino a ieri, c’è stata anche la mia bimba alla Summerlife di San Jack e si è divertita tanto. Vedevo felici anche gli altri bimbi, nel mio doppio ruolo di mamma e di volontaria per le operazioni di ‘sanificazione’: pulire, disinfettare tutto quel che usano (dai giochi ai pennarelli, dai bagni ai tavoli, dalle maniglie di porte e finestre ai palloni), aerare i locali. Piccole attenzioni che consentono di far stare bene i più dimenticati nella pandemia, i bambini non sono aziende, ma la loro crescita dovrebbe stare a cuore a tutti come e più delle imprese economiche, penso…
I don e gli educatori stanno offrendo una bella esperienza a bambini e ragazzi privati della scuola da mesi e provati dalla mancanza di contatti con i coetanei…
Tra giochi in giardino, gare, gite alla scoperta di Firenze e della sua storia, come il primo giorno al Palagio di Parte Guelfa
a scoprire i colori del Calcio Storico
o come a Orsanmichele, nella seconda settimana, per imparare a conoscere le arti e usarne i nomi anche nelle gare di gavettoni a distanza
(per la cronaca, ha vinto l’Arte della Lana)
Tra educatori, don, genitori, volontari, si sta attenti anche all’uso delle mascherine (al chiuso sempre, all’aperto solo se non è possibile mantenere la distanza minima) e al rispetto delle distanze, se non sempre sempre all’interno dei piccoli gruppi o ‘bolle’, almeno tra i gruppi, perché se si dovesse ammalare un bambino o un animatore, si fermerebbe solo quel piccolo gruppo, non tutti.
Distanziamento per cautela, ma solo fisicamente. Uniti per crescere insieme, distanti per evitare contagi pericolosi per i più deboli. I ‘centri estivi’ al tempo della pandemia…
Don Daniele (in maglietta rossa) con educatori (in verde) e animatori (in giallo)
rispettare i turni
evitare se con febbre
norme
E in mezzo alla bellezza di fiori e muri, stanze e spazi aperti, conoscersi e riconoscersi fratelli
20 Aprile 2020
Tre anni dal danno… e non importa scrivere, per chi sa, chi non sa non importa capisca, ormai. Non posso dimenticare, ma non voglio restarne prigioniera. Mi è stata amica la pioggia, a non lasciarmi piangere da sola.
Pioggia sul Mugnone e un ‘amico’ nuovo… un airone pescatore.
In volo maestoso, ma sono riuscita a fargli foto solo quando si ferma per mangiare.
21 Aprile 2020 Dopo più di due anni senza fumare, qualche tiro di sigaro… L’Antico Toscano è… profumo di babbo Lodovico. Non è un bene che abbia ripreso a fumare, lo so, anche se non ricompro le sigarette e ho buttato la e-cig (lo svapo è soltanto un inganno, se fumo fumo) … non fumo come quando ero schiava delle ‘bionde’, sto tante ore senza sentirne la voglia, in casa non lo accendo (solo sul terrazzino o fuori lontano da tutti, quando posso levare la mascherina), se sto con Viola non prendo neanche in mano i sigari, ma il piacere del fumo me lo concedo. Smetterò di nuovo, magari quando potrò tornare a correre alle Cascine o almeno a portare un fiore sulla tomba del babbo.
22 Aprile 2020
Compleanno senza fratelli e amici… ma il mio regalo più grande mi ha aiutata a soffiare sulle candeline.
23 Aprile 2020 Sono splendide le rose nel giardino accanto alla chiesa di San Jacopino.
Profumo di bene. Luce dove ogni mia caduta è stata accolta e curata.
Direzione…
24 Aprile 2020 Io non resto a casa. Rispetto le distanze di sicurezza, indosso la mascherina, non mi tappo tra quattro mura, mai più
Ieri sera mi sono fermata davanti al ramoscello d’olivo appeso l’anno scorso. Una lacrima silenziosa “ecco la Domenica delle Palme. Quando c’era babbo Lodovico era lui a portare i rami benedetti a casa, finché ha potuto. Poi mi ha passato il testimone… la sua ultima Pasqua non poteva uscire. E ora? Le benedizioni arrivano oltre i muri e le porte chiuse, ma dei rami dell’anno scorso che faccio?”
Affidato tutto.
Al mattino era sbocciato un altro fiore e l’orchidea ricevuta in dono sta preparando nuove gemme.
Le ‘palme’ della Pasqua passata sono rimaste al posto che spetta loro, in attesa e con la speranza che l’anno prossimo saranno sostituite da verde nuovo, benedetto insieme…
Insieme. Anche in casa sono benedetta dallo stare insieme con chi amo.
Per questa Pasqua senza andare alla messa, senza processioni, senza “Osanna” sventolando palme… coinvolta Viola nella preparazione di omaggi in carta e acquarelli, poi raccolto un ramo verde, non di olivo, nella passeggiata vicino a casa.
«Osanna al figlio di Davide!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Osanna nel più alto dei cieli!»
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 21,1-11)
Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, dicendo loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un’asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito». Ora questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Dite alla figlia di Sion: Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma». I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava: «Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!». Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui?». E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea».
Come a Napoli coi cestini calati nei vicoli, anche a Firenze si moltiplicano iniziative di solidarietà, scambio di voglia di bene, fraternità. vero dono sia per chi mette che per chi riceve o prende. C’è chi mette pacchi di pasta, caffè, zucchero, chi lascia il pane, chi si avvicina timidamente e nessuno guarda che cosa stia prendendo. Si rispettano le distanze, lì è anche più facile, metri e metri tra le persone. Scatole con scritte simili anche accanto a negozi chiusi, panchine sbarrate col nastro bianco e rosso, alle fermate degli autobus (foto viste sui quotidiani on line, di persona per ora ho visto solo la busta accanto all’edicola votiva all’inizio della passeggiata Carla Voltolina, sul ponte sopra il Mugnone). Si mette o si prende cibo, si scambia amore. Voglia di vita e comunione ai tempi dell’isolamento forzato. Distanziamento sociale per contenere il contagio del virus che piega il mondo intero, nuovi modi di farsi vicini a chi soffre le conseguenze delle chiusure.
Se hai bisogno, prendi. Dona se puoi.
Il modo più semplice per essere fratelli, per uscirne insieme.
Ancora tanti rami spogli lungo il Mugnone, ma su altri rami le prime foglie nuove, verde tenero di vita che rinasce.
Insieme parlano al cuore di fine e nuovo inizio.
Le piante in casa regalano bellezza agli occhi orfani del parco…
Ne verremo fuori? Dall’emergenza sanitaria, prima o poi sì, la domanda è chi ne uscirà e chi non rivedremo (se saremo noi a uscirne). Come ne verremo fuori? Migliori? Peggiori? Diversi, spero. Qualcosa sarà quasi come prima, molto sarà come non possiamo neanche immaginare. So che cosa terrei volentieri dell’esperienza di trauma collettivo e che cosa non mi piacerebbe portare nella nuova “vita ordinaria”. Ma non lo scrivo adesso, quel che si dice nelle ore del pianto conta poco.
Passeggiata solitaria, uscita da sola (come ogni volta che devo uscire da quando è iniziata l’emergenza ‘coronavirus’), attenta a restare sempre a distanza di metri e metri da tutti, vicino a casa, nel primo luogo abbastanza deserto da consentirmi di rispettare le distanze: la passeggiata lungo il Mugnone da poco intitolata a Carla Voltolina.
Incontri?
Un piccione a distanza di cinque o sei metri, e un ‘senza fissa dimora’ sulla panchina di legno. Mi guardava camminare e sgranare il rosario. Mi ha sorriso e fatto un cenno di saluto con la mano a distanza. Gli ho chiesto se aveva un posto dove andare, almeno per la notte… ha sorriso, detto di no, si è chinato e ho intravisto una lacrima. Era un uomo di pelle scura, anziano, prendeva un po’ di sole su quella panchina deserta… mi sono fermata a parlare con lui un po’, finito il rosario, a distanza di tre metri almeno. Mi ha fatto tanto bene. Mi ha ricordato che siamo fratelli sotto questo cielo. E forse sì, tutto andrà bene, se non perdiamo il senno e il senso di tutto. La mera sopravvivenza fisica a lungo termine non può bastare. Una goccia di umanità in mezzo al clima di odio e rancori sfogati da tanti nei social… mi atterrisce il fascismo endemico di chi vorrebbe sparare alle persone sorprese in strada senza il solo motivo valido per questo tempo: muovere soldi, lavorare o consumare merci. Supermercato sì, aziende sì (anche se non rispettano le misure di sicurezza per la salute dei dipendenti), passeggiata solitaria no, quella (questa) è inutile, è solo sfizio, solo capriccio… chi lo ha detto? Nel decreto uscito in piena emergenza è assicurato il diritto a svolgere attività motoria all’aperto purché si rispettino le distanze di sicurezza. Ma i talebani da balcone non ci stanno. Fanno foto a chi è fuori e le mettono sui social per mettere alla gogna l’anziano che chiuso in casa tutto il giorno tutti i giorni per tre mesi morirebbe anche senza contrarre il covid-19, la mamma di un autistico grave che se lo ritrova in casa tutto il giorno tutti i giorni senza scuola o servizi di assistenza e se si concede un’ora d’aria per non uscire di testa penso faccia bene, no? O chi porta il cane a fare una sgambata oltre che a pisciare. O la pazza che non sente la necessità di andare ogni giorno al supermercato a comprare cibo pur di avere la scusa per uscire, ma esce a passeggiare e pregare e fotografa la passeggiata Voltolina deserta… c’è chi invoca i cecchini alle finestre per sparare alla gente come me. Qualcuno, invece, inizia a dire che forse si può restare umani anche ai tempi del covid…