Mors tua vita mea … “Love Kaputt” di Antonio Giugliano

“Il suo più grande errore era stato proprio sposarsi, si disse. La sola verità che ne era emersa era che quando si cade nelle sabbie mobili difficilmente se ne esce in due. Mors tua vita mea, il detto latino non sbagliava mai”

Una storia di amore e disamore, una caduta agli inferi e un riscatto anomalo, una trama per niente banale, un’analisi penetrante del male che sanno farsi gli amanti. Love Kaputt è un sottile noir psicologico con finale davvero sorprendente, inatteso per quanto, alla luce degli indizi disseminati tra le pagine, perfettamente logico.
Niente spoiler, mai potrei rovinare il gusto di farsi prendere dalla storia di Maurizio e della morte di Elena, diventare partecipi del cupo dolore del vedovo sconvolto prima dai sospetti di aver ucciso la sua amata, poi dalla progressiva scoperta della doppia vita di quella donna con cui pensava di poter essere finalmente felice.
Appena un accenno alla trama, perché la storia è ben costruita, funziona, regge alla grande (che progresso nella tecnica narrativa dai tempi dei “Racconti bastardi”! Mi sento privilegiata a seguire la crescita dello scrittore che mi turbò con quell’infuocata raccolta e che ora inchioda i  lettori allo sviluppo di psicologie complesse e alla disamina spietata delle conseguenze delle passioni), merita nuovi lettori:

Maurizio Marullo è un agente di commercio, un solitario misantropo, ma non ancora vaccinato abbastanza contro il virus del sogno romantico. E si innamora della bella donna conosciuta in treno nel viaggio di ritorno alla terra natia, ben presto la sposa, inizia con lei una vita piena di cose buone fino al precoce logoramento della felicità coniugale. La vivace, brillante, originale, elegante, splendida Elena diventa distratta, spenta, smarrita, disorientata, forse gravemente depressa, forse malata di Alzheimer… finché un giorno viene ritrovata impiccata nell’ospedale dove lavora. Omicidio? Suicidio? All’inizio è proprio il marito il primo sospettato, poi però il caso viene archiviato come suicidio. Ma il vedovo non riesce a consolarsi nel gorgo di evasioni anche rischiose in cui si butta per  stordirsi, dimenticare, sentirsi di nuovo vivo, non può cancellare i dubbi, non può scansare il dover capire, si ritrova a scoprire un’altra donna, fino a pensare di non aver mai conosciuto davvero la moglie. Ritrova il suo cinismo e una speciale forma di sopravvivenza psichica oltre che fisica…

Da leggere. E godere. Per la storia e per il linguaggio pulito, asciutto, curato. 

prologo Love Kaputt

Editore: Augh! (1 marzo 2017)
Collana: Ombre
Autore: Antonio Giugliano … che io conoscevo come Woland nell’altro altrove…

Antonio Giugliano è nato a Napoli.
Alcuni suoi scritti sono stati inclusi in antologie edite da Giulio Perrone Editore (2005-2006). Ha pubblicato “Racconti bastardi” (Zona Editore, 2010) e il romanzo “Più nero che qui” (Monetti&Ragusa, 2014). Nel 2017 è uscita, in self publishing, la raccolta di racconti “Corpi

 

Più nero che qui

Più nero che qui copertina

” C’era ancora l’anello di ferro, infisso nel muro della macelleria, al quale veniva attaccato il maiale prima di essere macellato, ogni martedì. Lo avevano tirato lì a forza, con un anello attaccato al naso. Il maiale emetteva grida acute, di paura; sembrava un bambino che stessero picchiando. Presagiva la morte? O era solo il terrore, per quello che gli avrebbero potuto fare gli stessi umani che fino a due ore prima l’avevano allevato e accudito? Quello che è certo è che, qualsiasi fosse il sentimento che provava, io scappavo via e giuravo a me stesso che non avrei mai torto un pelo a nessun animale. Un giuramento che ho mantenuto, ma che conta poco, alla luce dei fatti. “

Frammenti di memoria raccolti in un vecchio diario che il narratore interno pensa di bruciare con tutto il passato che non smette di torturarlo e domandare alla mente una spiegazione che, dalla realtà esterna almeno, non arriverà. Squarci di lucidità in un delirio stremato, gocce di tenerezza sparse in un mare amaro di fuga disperante. E un amore senza futuro che sembrava l’ultima occasione di salvezza. Per lui, solo, con un documento nuovo e un’identità fasulla, uno scampato dall’inferno e rinato vecchio e per lei, la moglie di un criminale spietato, sola, proprietà privata di un uomo che non l’ama, ma non potrebbe lasciarla andare. C’è poi un altro piano narrativo, non frammentato come il diario del protagonista e voce narrante della storia d’amore impossibile, con una logica almeno apparente, un racconto che fila liscio e cattura l’attenzione sin dall’incipit:


 “A quel tempo la Magnacapitale della Repubblica Aristocratica e Popolare dell’isola di Cacastreppa, esattamente a metà strada tra l’Isola Che Non C’è e l’Isola Non trovata, era al massimo del suo fulgore per profitti, ricchezze, bellezze e orrori.”

Profitti illeciti, ricchezze sporche, ma soprattutto finte, bellezza naturale soffocata, orrori consumati in fretta…anelli invisibili attaccati al naso di maiali a due zampe e due braccia, senza l’innocenza del maiale macellato. Anelli non infissi al muro, ma dietro le macchinette del videopoker, nella cocaina, nel sesso sfrenato e senza gusto, senza gioia, mentre una pioggia incessante ammacca ossa e umori, allaga senza dissetare, dilaga senza lavare.

Pioggia di novembre anche nel diario: “La strada era bagnata e dai balconi e dai tetti ancora gocciolavano i residui della pioggia che era caduta per tutto il giorno e che ora stava concedendo una pausa alle fogne esauste, ai muri, alle cose, alle case e alle strade, imploranti una tregua a quel diluvio novembrino incessante e funesto, presago di sventure, gonfio d’angosce”. Mi piace il ritmo di questa prosa, in tutto il romanzo c’è ritmo anche quando sembra non accada molto. Se fosse una musica, sarebbe jazz e “il jazz è sempre stato come il tipo d’uomo con cui non vorreste far uscire vostra figlia” (Duke Ellington). Ecco, non vorrei far leggere questo romanzo a mia figlia, almeno finché Viola non avrà compiuto 22 anni! Non è un libro per tutti, lo consiglio solo a un pubblico adulto e vaccinato (la lettura dei quotidiani italiani potrebbe bastare come vaccino… chi riesce a dormire senza ansiolitici dopo aver letto certe cose non ha senso si scandalizzi per i baccanali di Cacastrappa, ma le scene di sesso sono effettivamente parecchio spinte e la sensibilità di molti, di molte soprattutto, potrebbe esserne turbata oltre misura).

L’autore, che conoscevo come Woland ai tempi del primo blog, ormai è un amico, non solo un contatto di facebook, anche se non ci siamo mai incontrati face to face. Mi aveva colpita moltissimo il suo primo libro, “Racconti bastardi”. Colpita e affondata. Non avevo letto niente di più spietato e preciso.
Di “Più nero che qui” avevo acquistato una copia tramite ibs, prima di sapere che Antonio me ne avrebbe mandata in dono una con dedica.

Dedica di Antonio
L’altra copia del romanzo è ora in viaggio per Milano, dove spero sia gradita all’angelo briaho.
Non lo consiglio alle signorine perbene, agli amanti dei neomelodici, a chi cerca una lettura di conforto, agli stomaci delicati.
Non lo consiglio neanche a chi cerchi nello scrittore meridionale il pamphlet di denuncia dei mali locali. In un certo senso la denuncia c’è, ma non particolare, non legata a quella terra cui pure Antonio Giugliano dedica il suo ultimo lavoro.

più nero che qui dedica alla terra dei fuochi

Cacastreppa può essere Napoli, può essere l’Italia intera, ma questo è un romanzo. Forte, cupo, grottesco, appassionato, non privo di divertimento, carico di sofferenza, alleggerito solo dall’ironia e dal piacere di leggere chi narra per bisogno di scrivere.

Chiudo con due citazioni brevi. E fuori contesto funzionano lo stesso, mi pare.

“… le contorsioni della psiche femminile sono un groviglio che s’imbroglia ogni mattina”
(confermo)

“Eccoci là. Noi. Eravamo due innamorati e basta, niente di più e niente di meno. Il che equivale a dire che eravamo due disadatti. Perché l’unica cosa che so, dell’amore, è che non è di questo mondo e gli innamorati sono, in quell’attimo che dura l’amore, creature ultramondane, ultramarine, ultracelesti”

Ecco, il vantaggio di conoscere l’autore è che puoi chiedergli qualsiasi cosa appena finito di leggere il suo libro. Quel “disadatti” mi suonava strano lì per lì, pensavo addirittura a un refuso per “disadattati”… e glielo ho detto in messaggeria di facebook. Ecco la risposta: ” No, disadatti è proprio voluto. Non ti piacerà, ma è il termine che ho usato apposta. Disadattati implica una coercizione, una costrizione all’adattarsi alla vita. Disadatti è una ribellione all’adattarsi”

Una ribellione a farsi attaccare l’anello di ferro al naso. E pure le briglie che si usano per altri animali, anche i cavalli un tempo venivano legati con la cavezza a quel tipo di anello di ferro infisso nel muro. Non andavano al macello, finché correvano, finché servivano, ma non erano liberi, erano molto adatti e adattati.

Antonio Giugliano