esercizi

Con gli acquarelli sono ‘costretta’ a non perdermi in millemila ritocchi e correzioni. L’acquarello asciuga in fretta e ogni modifica rischia di rovinare la carta.

Esercizi per imparare di nuovo a mettere in forma e colori le emozioni o esercizi contro il perfezionismo e il pensiero “o tutto o nulla”…

(tentativi di autoterapia selvaggia contro l’angoscia)

Venerdì Santo

… uomo dei dolori che ben conosce il patire,
come uno davanti al quale ci si copre la faccia;
era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.
Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,
si è addossato i nostri dolori;
e noi lo giudicavamo castigato,
percosso da Dio e umiliato.
Egli è stato trafitto per le nostre colpe,
schiacciato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;
per le sue piaghe noi siamo stati guariti…

( dal libro del profeta Isaìa, Quarto canto del Servo del Signore)

…Gesù può, a volte, farci conoscere le sofferenze della sua agonia per farci capire che dobbiamo accettarle, non fuggirle. Egli ci chiede di avere il coraggio di rimanere con lui: finché non avremo questo coraggio, non potremo trovare la pace del suo amore.
L’ultima tentazione di Cristo, come dice Paolo Curtaz, fuggire l’agonia sulla croce.
Ma non fuggì. 

“Era giunta l’ora delle tenebre. Gesù stesso lo afferma mentre gli aguzzini gli mettono le mani addosso: non perché essi siano stati capaci di braccarlo e di arrestarlo lui ora è nelle loro mani, ma semplicemente perché è giunta l’ora delle tenebre, quella che coincide con il tempo opportuno della salvezza: l’ora nella quale le tenebre hanno un momentaneo sopravvento perché Dio, attraverso di esse, possa manifestare la sua gloria e realizzare la sua opera di salvezza.
Dio sceglie una modalità insolita per manifestare se stesso all’uomo, e questa si allontana di gran lunga dalle aspettative tipicamente umane di grandezza, di potere o di coercizione. Dio non si rivela infatti nei segni grandiosi o negli eventi roboanti e altisonanti, ma lasciandoci flagellare e uccidere sulla croce! Manifesta quindi la sua onnipotenza divina in ciò che gli uomini definiscono assurdo, insensato e irrazionale: farsi uccidere. E per di più, Dio sceglie per sé la morte violenta, lui che è fonte di vita e di benedizione, lasciando che altri lo disprezzino e che la legge lo definisca “maledetto”. Infatti, secondo la legge giudaica è “maledetto chiunque pende dal legno”(Dt 21, 23).
Si direbbe che Dio nella croce si mostri debole, impassibile e sottomesso, nonché vigliacco e incapace di reazione e di difesa; se consideriamo la concezione nostrana di amore e di giustizia allora Dio non è più un Dio, me semplicemente un essere disonorato e inattendibile. Eppure è proprio questa la prerogativa esaltante del Dio cristiano: non concepire la mentalità tipica dell’uomo e prendere da essa le distanze, ragion per cui sceglie come sinonimo di potenza e di elevatezza quanto noi interpretiamo come illogico e assurdo.
In Cristo, Dio si è fatto maledizione, perché noi ricevessimo la somma benedizione. Per questo motivo quello di oggi è il Venerdì della rivelazione, ma anche della pazzia e dell’insensatezza, perché il Salvatore si rivela nell’assurdo umanamente inteso.
Se Gesù fosse sceso dalla croce avrebbe certamente mostrato di essere Dio con argomenti indiscutibili, ma questo non avrebbe stupito nessuno poiché in tutte le culture religiose Dio è capace di tutto, anche di sbaragliare i propri avversari. Rendere lo spirito sulla croce, invece,  nell’abbandono dopo la lunga agonia, ci stupisce ancora oggi di come Dio sia onnipotente in quanto il suo amore può davvero tutto per noi e di come noi da questo amore possiamo essere sedotti e affascinati ” (appunti dal sito liturgia.it)

Ascoltavo le meditazioni della Via Crucis al Colosseo, mentre un sollievo di lacrime a invadere gli occhi e dagli occhi cadere

stasera babbo è casa, finalmente, dopo due settimane in terapia intensiva coronarica. Una botta grossa grossa, tanta paura, tanto dolore, tanta stanchezza… ma è tornato e non so dire la tenerezza di Viola che lo guardava incredula, la gioia tremante di mia figlia e di mio padre vicini dopo tanti giorni e tante notti in cui neanche poteva sentir nominare il nonno… 

E mi appunto qualche parola per il sabato del silenzio. Stasera è caos di amore, cuore straboccante di gratitudine e fatica, sollievo e timore, sperdimento e speranza. Tutto insieme, impasto di ferite e gioia, urlo senza voce.

“… la buona novella del Vangelo: non c’è caduta che possa sottrarci alla tua misericordia; non c’è perdita, non c’è abisso tanto profondo che tu non possa ritrovare chi si è smarrito”

“Era necessario che la dolcezza di Dio visitasse il nostro inferno, era l’unico modo per liberarci dal male.
Era necessario che Gesù Cristo portasse l’infinita tenerezza di Dio nel cuore del peccato del mondo.
Era necessario questo, perché, posta dinanzi alla vita di Dio, la morte indietreggiasse e cadesse, come un nemico che ha trovato uno più forte di lui e si dilegua nel nulla”

 

GRAZIE

 

Non basta una Giornata

KZ Auschwitz, Einfahrt

ma, almeno una volta, ogni anno, ricordare e raccontare è doveroso.
Non solo ai ragazzi. Forse anche ai grandi andrebbe narrato quel che non si può spiegare.

“Una volta mi avevano dato del sapone, una tavoletta grezza, rettangolare, con sopra impresse le iniziali RJF. Allora non sapevo cosa significassero quelle lettere, ma nel giorno dello Yom Kippur qualcuno me lo rivelò. Nel giorno in cui si prega e Dio perdona il suo popolo ed è vicino a lui in spirito di amore e conciliazione, quel giorno imparai il significato di RJF. Rein Juden Fett, puro grasso ebreo. Ci avevano dato la possibilità di pulirci con i cadaveri dei nostri fratelli ebrei”

Millie Werber

Auschwitz ingresso neve

La notte
” Ho visto altre impiccagioni, ma non ho mai visto un condannato piangere, perché già da molto tempo questi corpi inariditi avevano dimenticato il sapore amaro delle lacrime. Tranne che una volta. L’Oberkapo del 52° commando dei cavi era un olandese: un gigante di più di due metri. Settecento detenuti lavoravano ai suoi ordini e tutti l’amavano come un fratello. Mai nessuno aveva ricevuto uno schiaffo dalla sua mano, un’ingiuria dalla sua bocca.  Aveva al suo servizio un ragazzino un pipel, come lo chiamavamo noi. Un bambino dal volto fine e bello, incredibile in quel campo. (A Buna i pipel erano odiati: spesso si mostravano più crudeli degli adulti. Ho visto un giorno uno di loro, di tredici anni, picchiare il padre perché non aveva fatto bene il letto. Mentre il vecchio piangeva sommessamente l’altro urlava: «Se non smetti subito di piangere non ti porterò più il pane. Capito?». Ma il piccolo servitore dell’olandese era adorato da tutti. Aveva il volto di un angelo infelice).

Un giorno la centrale elettrica di Buna saltò. Chiamata sul posto la Gestapo concluse trattarsi di sabotaggio. Si scoprì una traccia: portava al blocco dell’Oberkapo olandese. E lì, dopo una perquisizione, fu trovata una notevole quantità di armi. L’Oberkapo fu arrestato subito. Fu torturato per settimane, ma inutilmente: non fece alcun nome. Venne trasferito ad Auschwitz e di lui non si senti più parlare. Ma il suo piccolo pipel era rimasto nel campo, in prigione. Messo alla tortura restò anche lui muto. Allora le S.S. lo condannarono a morte, insieme a due detenuti presso i quali erano state scoperte altre armi.

Un giorno che tornavamo dal lavoro vedemmo tre forche drizzate sul piazzale dell’appello: tre corvi neri. Appello. Le S.S. intorno a noi con le mitragliatrici puntate: la tradizionale cerimonia. Tre condannati incatenati, e fra loro il piccolo pipel, l’angelo dagli occhi tristi. Le S.S. sembravano più preoccupate. Più inquiete del solito. Impiccare un ragazzo davanti a migliaia di spettatori non era un affare da poco. Il capo del campo lesse il verdetto. Tutti gli occhi erano fissati sul bambino. Era livido, quasi calmo, e si mordeva le labbra. L’ombra della forca lo copriva. Il Lagerkapo si rifiutò questa volta di servire da boia. Tre S.S. lo sostituirono.

I tre condannati salirono insieme sulle loro seggiole. I tre colli vennero introdotti contemporaneamente nei nodi scorsoi.

– Viva la libertà! – gridarono i due adulti.
Il piccolo, lui, taceva.

– Dov’è il Buon Dio? Dov’è? – domandò qualcuno dietro di me.

A un cenno del capo del campo le tre seggiole vennero tolte.

Silenzio assoluto. All’orizzonte il sole tramontava.

Scopritevi! – urlò il capo del campo. La sua voce era rauca. Quanto a noi, noi piangevamo.

– Copritevi!

Poi cominciò la sfilata. I due adulti non vivevano più. La lingua pendula, ingrossata, bluastra. Ma la terza corda non era immobile: anche se lievemente il bambino viveva ancora…

Più di una mezz’ora restò così, a lottare fra la vita e la morte, agonizzando sotto i nostri occhi. E noi dovevamo guardarlo bene in faccia. Era ancora vivo quando gli passai davanti. La lingua era ancora rossa, gli occhi non ancora spenti.

Dietro di me udii il solito uomo domandare:

– Dov’è dunque Dio?

E io sentivo in me una voce che gli rispondeva:

– Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca…

Quella sera la zuppa aveva un sapore di cadavere “

(Elie Wiesel)
shoah-bambini