«O Amore dammi tanta voce che chiamando te Amore, io sia sentita dall’Oriente insino al Occidente, e da tutte le parti del mondo, etiam nell’Inferno, accioché da tutti tu sia conosciuto e amato, amore; […] Amore, amore tu solo penetri e trapassi… se’ cielo e terra, Fuoco et Aria, Sangue e Acqua.»
Santa Maria Maddalena de’ pazzi
La santa di oggi, nata Caterina, diventata monaca col nome di Maria Maddalena, è patrona del seminario di Firenze, che si trova dove allora era il convento di Santa Maria degli Angeli, poi monastero del Cestello. Le sue spoglie mortali sono state portate dove ho studiato, tra Borgo Pinti e via della Colonna, il chiostro del convento dove si erano trasferite le carmelitane di Santa Maria degli Angeli, dimezzato, è diventato il cortile del liceo Michelangelo!
Caterina de’ Pazzi a sedici anni, prima di entrare in Carmelo; ritratto di Santi di TitoAlessandro Rosi, Estasi di Santa Maria Maddalena de’ PazziSilvio Zannelli, S. Maria Maddalena de’ Pazzi, olio su tela, 25 maggio 2007, IV centenario della morte.
“Venite ad amare l’Amore!” diceva di continuo alle consorelle, anche nel cuore della notte, per incoraggiarle all’adorazione. Innamorata di Cristo, spese la sua vita per la rinascita della fede nella Chiesa e offrì ogni sua sofferenza “all’Amore non amato” che voleva far conoscere a tutti: “Amate voi l’amore? E come fate a vivere? Non vi sentite consumare e morire d’amore? Se non amate l’Amore, chi volete amare?”. Un bell’articolo su santa Maria Maddalena è QUI.
Assisi, Santa Maria degli Angeli
A me tornava in mente san Francesco e il suo sconsolato “l’Amore non è amato, l’Amore non è amato…” e mi sembrava di vedere le sue lacrime tra le rose e le pietre di un’altra Santa Maria degli Angeli, non chiesa fiorentina, ma l’imponente basilica costruita intorno alla Porziuncola…
Un contadino chiese: “Cos’è successo, fratello, perché piangi?”
Il fratello – San Francesco – rispose: “Fratello mio, il mio Signore è sulla Croce e mi chiedi perché piango? In questo momento vorrei essere il più grande oceano della terra per avere tutte quelle lacrime. Vorrei che si aprissero allo stesso tempo tutte le porte del mondo e le cataratte e che si scatenassero i diluvi per farmi prestare più lacrime. Ma anche se mettessimo insieme tutti i fiumi e i mari non ci sarebbero lacrime sufficienti per piangere il dolore e l’amore del mio Signore crocifisso. Vorrei avere le ali invincibili di un’aquila per attraversare le catene montuose e gridare sulle città: ‘L’Amore non è amato!’ Com’è possibile che gli uomini possano amarsi se non amano l’Amore?”
di Ignacio Larrañaga, in “Nostro fratello d’Assisi”, una biografia di San Francesco
È già passata una settimana dall’esperienza bella di sabato 13 maggio, dalla mattina alla sera con Roberta ad Assisi. I giorni sono volati nei fumi della febbre e tra le lacrime del cielo. Il giorno dopo il piccolo pellegrinaggio mi ero regalata un po’ di tempo seduta a sistemare foto e ricordi al computer … tre post in un giorno su questo blog che pochi leggono e che a volte trascuro per settimane, ma che ogni tanto mi serve come un cesto di mollette, come gli acchiappini per i panni, mentre questi post sono acchiappini per la memoria… scorre tutto troppo in fretta se non mi fermo a gustare quel che vivo. Ho bisogno di raccontare e condividere, fermare le immagini…è un’illusione, lo so, ma da questi frammenti tra un po’ mi si riaprirà un ricordo, forse. Ricordi belli per il futuro prossimo. Se solo non mi mangiassi il tempo! Forse sentivo che stava arrivando la febbre, ma troppa fretta anche qui, domenica scorsa! Allora provo a ripercorrere piano piano quel che mi ha fatta crescere nell’amore e nella fiducia. A cominciare dall’emozione di prendere il treno dopo quasi un anno e per la prima volta da tanti anni di nuovo da sola (Roberta veniva da Roma, io partivo da Firenze).
La stazione ha sempre il suo fascino per me.
Stanca e un po’ smarrita, tra la comitiva vociante di anziani gitanti e le scene di varia umanità di un treno regionale, veloce, ma con tutte le fermate.
Scesa la comitiva di mezza età e voci alte, troppo alte, sono saliti ragazzi gentili e coppie di amiche. Accanto a me, dopo Cortona, si sono seduti un distinto signore giapponese e un giovane napoletano non tifoso (l’unico partenopeo che abbia incontrato non al settimo cielo per lo scudetto!). Conversazioni piacevoli, abbandonata ormai l’idea di leggere…
Ogni fermata un ricordo del babbo. Montevarchi dove insegnava all’inizio (i primi anni girava parecchio, Borgo San Lorenzo, Colle Val d’Elsa…), occhi lustri, confortati dalle belle macchie rosse dei papaveri leggeri come carezze, come le carezze che stasera mando dal cuore alla mia amica Roberta, alla sua vita in salita, stasera messa alla prova una volta di più.
Anche la stazione d’arrivo mi ha incantata,
con Santa Maria degli Angeli a vista dal binario,
gli arredi e le scritte retrò,
il pavimento perfino mi affascinava…
e la Basilica di San Francesco a vista dall’uscita opposta al binario
(Assisi, sabato 13 maggio 2023, continua, segue… ho perso il filo)
Ieri, per il mio compleanno, sono stata festeggiata dalle luci e dai colori del cielo, dall’alba al tramonto, nella città che amo, nella mia incantevole Firenze, dove sono nata e vivo (dove a volte ho anche pensato che sarebbe stato meglio non essere mai nata, ma poi sono rinsavita, richiamata alla luce), da ogni riflesso sull’Arno, dai fiori ai bordi delle strade, persino dalle gru dei lavori in corso senza fine. L’incompiutezza si avvicina al vero, siamo continuamente in fieri, in cammino, per via…
Ieri sono stata festeggiata per i miei diversi anni, tredici per due alla seconda, dalla Sacher a colazione
al sushi a pranzo;
dalle rose belle nel giardino di San Jacopino
al rosa del cielo verso il tramonto a San Miniato al Monte,
in una bella passeggiata con lo sposo e la nostra bambina, Viola, che cresce in età, altezza, bellezza, buffonaggine.
E ci ha scattato una foto ‘romantica’.
Un’ondata di auguri, pensieri di bene e regali buoni (offerte per una raccolta fondi a favore della Comunità di Sant’Egidio, che si occupa dei più fragili, dei migranti, di chi ha perso tutto, casa, lavoro, gambe… per il terremoto o per le bombe). E cuore in festa e occhi pieni di bellezza. GRAZIE
Quando ero bambina facevo seccare tra le pagine dei libri più pesanti i fiori raccolti in estate, portavo in città conchiglie e sassolini colorati… erano altri tempi. Adesso i fiori li colgo con le foto, sui sassi ritrovo la forza e la gioia di camminare scalza e i ricordi delle vacanze sfumano tra i panni da lavare e i pensieri adulti. Ieri siamo tornati a Firenze lasciando Castiglioncello sotto la pioggia, diventata forte mentre eravamo in viaggio, tanto da far fermare non solo noi in autostrada, perché non si vedeva molto e intanto il vento forte scuoteva la macchina… notte di lampi e grandine anche in città, sonno stranito, gratitudine per essere arrivati indenni, dispiacere per i disastri e i lutti vicini, voglia di sistemare, dopo la valigia tornata in cima all’armadio e i vestiti lavati, anche molte delle troppe foto fatte, mai abbastanza per dare un’idea della bellezza che ci ha accolti, ma qualcosa per non dimenticare subito.
Promontorio, baia, scogli, acqua limpida, molto fredda i primi giorni, inaspettatamente, dato il grande caldo lasciato a Firenze e sentite le voci, di locali e villeggianti, di temperature tipo bagno in vasca… fino al 16 fredda, tanto fredda, bellissima, a volte mossa, viva di pesciolini grandi e piccoli e alcuni mordaci e un paio di giorni si sono viste anche le meduse, senza assaggiarne le brucianti carezze. Giorni di nuotate in solitaria e giochi in acqua con Viola e Sandro.
Passeggiate tra gli scogli di giorno e di sera, con la Luna sul mare,
tra i fiori e i pini la mattina presto o nel primo pomeriggio, con voli di farfalle, il suono del treno e …
un cavallo blu.
Si dormiva nella pineta, con i rami davanti alla finestra, eppure mi ha stupita e commossa lo scoiattolo che per due o tre mattine è venuto a visitarmi nel silenzio intorno GRAZIE
Prima volta alla messa nella chiesa della parrocchia Sant’Andrea Apostolo e Immacolata Concezione, sabato sera, già domenica per la liturgia
In pineta, invece, la messa per l’Assunta, con un po’ di pioggia all’inizio
Un temporale notturno ci ha regalato riflessi incantevoli nel parco di Castello Pasquini
E ogni giorno la luce cambiava, ogni ora dava un colore diverso alle emozioni
Delizioso anche l’albergo e ogni alloggio provvisorio
Il 9 agosto del 1962 è nato Don Fulvio Capitani, dal 2009 amato parroco di San Jacopo in Polverosa a Firenze, per tutti San Jacopino, per gli intimi San Jack, anche se non dimentica mai la sua precedente missione, infatti è stato, prima, dal 1997, parroco di Mercatale in Val di Pesa, nel Chianti fiorentino e ricorda i suoi parrocchiani di allora come amici e fratelli, nelle gioie e nelle occasioni di lutto. A Firenze, ora, come prima a Mercatale, si prende cura delle Sue pecore, pasce gli agnelli, fascia di riconciliazione le pecore ferite, guida con dolcezza le pecore madri… a volte può anche far spavento con il suo vocione stentoreo, specie a chi non lo conosce molto, la sua voce poderosa però fa tanto bene quando spezza il pane della Parola e si rivela dolce, accogliente come un abbraccio, quando, nel ruolo di confessore, Don Fulvio sa farsi trasparenza in terra della Misericordia divina. Ama la musica, scrive cose che sembrano poesie, ma giustamente rifiuta di esser detto “poeta” (forse memore della citazione di De André – poet… cantante che amiamo entrambi – “Benedetto Croce diceva che fino a diciotto anni tutti scrivono poesie e che, da quest’età in poi, ci sono due categorie di persone che continuano a scrivere: i poeti e i cretini. Allora, io mi sono rifugiato prudentemente nella canzone che, in quanto forma d’arte mista, mi consente scappatoie non indifferenti, là dove manca l’esuberanza creativa.”), fan di Guccini e di Branduardi, dei Genesis e dei Nomadi, senza disdegnare De Gregori, Bennato, Lucio Dalla, Paola Turci, Leonard Cohen….
novembre 2018, Angelo Branduardi al Teatro Verdi di Firenze (ci siamo stati con Sandro e Don Fulvio)
“C’è una domanda che attraversa il mio sentire: quanto vale la vita di una persona per coloro che pensano ancora che una guerra possa essere giusta se considerata il male minore? Se una persona vale tanto quanto tutto l’oro che c’è sulla terra, perché non si chiede a quella vita il permesso di bruciarla? Se l’oro, quello giallo, quello nero o quello bianco non vale tanto quanto una persona, perché siamo così ipocriti da farne la misura con la quale la storia condanna milioni di persone a morire di fame e lascia che in pochi si godano i frutti che sono per tutti? La mia misura è ogni essere vivente, solo questa misura conosco, le altre non mi interessano”. Gigi Ontanetti
Assistente ecclesiastico dei boy scout, mi ha fatto lasciar cadere una mia pregiudiziale antipatia per quell’ambiente che non conoscevo. Conosco un pochino lui, Don Fulvio, abbastanza per dire che se qualcosa lo appassiona e ci si dedica tanto non deve essere una cosa meno che buona.
Sono testimone diretta del suo impegno per i bambini e i ragazzi, come mamma di Viola che ha frequentato, in tempo di pandemia, la versione ridotta del CRE (centro ricreativo estivo) e quest’anno finalmente il CRE vero, dove, per la prima volta, mi sono ritrovata ingaggiata come responsabile adulta (lo so, fa ridere pensando a me accostarmi sia “responsabile” che “adulta” anche se l’età c’è). Non ci pensavo nemmeno, ovviamente, ma dopo aver accettato di diventare catechista per i bambini, quando Don Fulvio mi ha chiesto di entrare anche a far parte della squadra del CRE, tra gli educatori, invece che dare una mano solo per la sanificazione come negli anni del coronavirus… pensavo di dire no, spaventata dalle responsabilità e consapevole dei miei limiti e difetti. Al suo “il Signore chiama non chi si crede capace, ma chi è disponibile a dirgli di sì” che potevo fare se non acconsentire? Mi sono stancata tanto, mi ha fatto tanto tanto bene! GRAZIE
Il bene profondo che mi ha fatto il Signore tramite il Don è qualcosa che non si può dire qui, non si può raccontare. Ma tengo in cuore anche il tanto di bene che mi è venuto da Fulvio essere umano umano davvero. In occasione di alcune mie cadute (che dolgono ancora a volte, ma che benedico, ora, perché mi hanno fatto assaporare la Misericordia), nel momento della malattia e della morte del mio babbo, in occasioni anche più lievi e allegre… per esempio mi ha fatto scoprire lui il Balagan.
E ci ha presentato il suo grande amico Jean-Michel Albert Carasso, ora amico anche nostro davvero caro, di cui abbiamo assaggiato per la prima volta le delizie cucinate e narrate in occasione di una cena alla Trattoria da Burde, con la presentazione del suo libro “Cucinare lontano” (in foto il Don e noi sposi… io un po’ brilla per gli assaggi dei vini abbinati ai piatti di tutto il mondo, scelti dal sommelier Andrea Gori).
E Don Fulvio ha concelebrato (con Don Luigi, parroco della chiesa sotto casa che allora frequentavo) il matrimonio in chiesa tra me e Sandro, nell’anniversario delle nozze civili, con Viola già capace di ricordarselo poi, il matrimonio dei suoi genitori in mezzo a una messa della domenica, con il fratellone suo per testimone del babbo e la mia madrina di Cresima e sua madrina di Battesimo come mia testimone di nozze insieme con il padrino suo di Battesimo e amico presente alle nostre nozze in Comune quando lei non esisteva…
A settembre (25 settembre 2021) abbiamo condiviso un bel pezzo di cammino, il Don ci ha raggiunti a Pistoia… felici anche se sfranti per la camminata da Firenze.
Per un po’ di tempo ha ospitato e curato anche una gattina forse maltrattata e scappata da altri umani meno umani, la timida Stina, scomparsa d’estate l’anno scorso… a me a e Viola manca, immagino anche a Don Fulvio. Ma il bene che le ha voluto e dato fa parte del tesoro che quest’anima d’oro sta mettendo in Cielo.
Anche Stina, ne sono certa, sente la mancanza di Don Fulvio. Noi la aspettiamo sempre, vero? Il giardino della canonica di San Jack è meraviglioso, ma con Stina era più bello.
Dove le rose sbocciano anche fuori stagione, dove vive, prega, lavora, accoglie, guida, accompagna, sgrida, consola, ama un vero uomo di Dio.
La salute fisica non gli sorride particolarmente, ma siamo in tanti a pregare perché possa lasciare la sedia a rotelle e comunque se Papa Francesco adesso guida l’intera Chiesa da una carrozzina, può farlo anche il parroco di campagna prestato alla città del Fiore. Intanto, un altro Bala… non Balagan, ma Balacinema insieme. Finché si gusta e conosce…
Sabato di consolazione dall’arte, per non perdermi la mostra – meravigliosa – dedicata a Donatello, tra Palazzo Strozzi (in mattinata, saltando la fila col biglietto preso ieri sera on line) e il Museo del Bargello nel pomeriggio, con biglietto ridotto (bastava esibire il biglietto elettronico di Palazzo Strozzi), senza fila, perché non c’era la ressa trovata invece a Palazzo Strozzi, dove erano concentrati cento capolavori in prestito da varie sedi. Favolosa. Troppe foto da scaricare stasera, anche se non ho scattato foto a tutto, già così mi è parso di non godermi abbastanza l’esperienza diretta, pensando già a condividere tanta bellezza con gli amici lontani e con chi non poteva andarci di persona anche se a Firenze…
Un tuffo al cuore prima di entrare, già prima, anzi, passando da Via delle Belle Donne, dove ci eravamo fermate con Lara (e la terza donna in pancia, la mia piccola Viola che non conoscerà la ‘zia’ di Rimini).
Un primo David vittorioso (il più bello è quello al Bargello, ma la mostra seguiva un andamento cronologico),
prima del confronto tra il Crocifisso di Donatello
e quello di Brunelleschi
E poi un crescendo di emozioni e incanto… un po’ di foto stasera. Non solo Donatello, la mostra è intitolata “Donatello, il Rinascimento” e accosta i capolavori di Donato di Niccolò di Betto Bardi (Firenze, 1386-1466) alle opere di tanti altri artisti. Roba da svenire per la meraviglia:
Delle Robbia, Madonna col Bambino tra i santi Stefano e Caterina d’Alessandria
era tanto caldo anche quella sera di maggio di 29 anni fa. Buchi di memoria in quegli anni, ma la sera diventata notte di quasi trent’anni fa non la dimentico…
Era una notte di maggio da stare con la finestra spalancata. Un maggio caldo, confuso nella memoria con gli altri mesi e anni di cui ricordo poco e in disordine, perché non stavo bene, ero un po’ fuori dal mondo. Pesavo meno di una bambina, ossa e nervi a pelle, un’angoscia divorante che si è mangiata tanta parte della mia vita e dei miei ricordi… anche ora che con i chili tornati a far da confine tra l’anima e il mondo non conto più gli anni di vita nuova e per molte cose mi sono decisamente ripresa, sento a volte il buco nella memoria come una ferita che non si rimargina. Forse sono la sola della mia età, per esempio, a non ricordare dove fossi e che facessi il giorno della strage di Capaci (probabilmente ero in ospedale). Ma ricordo con precisione quella notte di maggio tra il 26 e il 27.
Ero alla finestra di cucina, con vista sulle luci di Firenze, a fumare una sigaretta dopo aver salutato il ragazzo che frequentavo… Massimiliano, che abitava diladdarno, in centro, a due passi dai luoghi colpiti quella notte, a una sigaretta dal Ponte Vecchio… zona di piazza Pitti. Sentire un boato proveniente proprio da quella parte… un tuffo al cuore.
Sì, come molti quella notte a Firenze, lì per lì pensai a una fuga di gas, a un brutto incidente, non immaginavo un attentato lì, qui. Proprio qui a Firenze, proprio lì, a due passi dal Ponte Vecchio.
Il cuore perse qualche battito.
Nella notte tra il 26 e il 27 maggio 1993, Angela Fiume, 36 anni, suo marito Fabrizio Nencioni di 39 anni, le loro bambine Nadia, piccola poetessa di 9 anni, e Caterina, vita nuova nuova, di soli 50 giorni… e lo studente di architettura Dario Capolicchio (22 anni) persero la vita per una bomba che provocò anche tanti feriti, distrusse la storica Torre de’ Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili…
Dopo tre dosi di vaccino a testa per noi adulti (doppio Pfizer e booster Moderna) e le due previste per i bambini a Viola, alla fine anche qui è arrivato il Covid. Per prima la bimba, che probabilmente lo ha preso a scuola, poi febbrone anche a me (la prima notte col virus mi è salita la febbre a 40°) e test rapido casalingo chiarissimo:
14 marzo, positiva 😦
Rinunciare alla messa (diventata appuntamento quotidiano da qualche tempo) per tre domeniche di fila in quaresima è stata una severa penitenza. Mi è dispiaciuto anche di più mancare a tre incontri di fila con i bambini del catechismo. Per loro, visto che non potevo raccontare di persona la storia del giardino e del frutto proibito, prevista nella sequenza per il primo anno, in cucina, con cellulare e disegni, mi sono cimentata in un video che l’altra nuova catechista, Suor Anne, ha fatto vedere e sentire domenica scorsa ai nostri piccoli:
Al tramonto di mercoledì 16 marzo, inizio di Purim, lettura del libro di Ester con Viola e maschere arrangiate in casa per noi recluse anche se sfebbrate.
Per San Giuseppe ancora in casa, sempre positiva (Viola guarita presto, per me e per Sandro è stata più lunga, contagiata anche mia madre, in forma più lieve, ma di lunga e lenta negativizzazione).
E sempre ‘ai domiciliari’ per il capodanno fiorentino, solennità dell’Annunciazione,
con punte di insofferenza (al piano di sopra lavori di ristrutturazione e colpi, botte, trapano a tutte le ore sul capo senza poter uscire e scappare dai rumori…), ma la rinuncia forzata alla messa mi ha consentito di seguire in diretta la liturgia penitenziale presieduta dal Papa e la sua bella preghiera di consacrazione per la pace: momento intenso.
Conforti colorati dai fiori sbocciati ancora
Sono arrivati anche libri nutrienti per il cuore,
conforto assaggiato già, ma lettura distesa rimandata,
perché intanto ho ripreso in mano un libro che mi aveva regalato mio padre anni fa…
E poi, finalmente, la liberazione, con test negativo a casa, prima dell’alba, confermato dal tampone in farmacia…
bello camminare e veder moltiplicate le bandiere della pace ai balconi e alle finestre nelle vie vicine
Oggi avrei cercato immagini belle dei fiori che più amavi per farti gli auguri, avresti compiuto 54 anni, invece li uso per salutarti, perché ora sei fuori dal tempo, libera dal passare degli anni. Non era così che immaginavo la tua uscita dal tunnel, ma se ti eri stancata di arredarlo, ti capisco. Ci manca il tuo sorriso, Lara, ci hai gelati tutti con la notizia della tua morte. Gli ultimi messaggi con te il 27 febbraio e il 4 marzo un malore improvviso… lo abbiamo saputo mercoledì 8 marzo, non ci si credeva, ancora non mi capacito…
Dovevi tornare a mangiare la schiaccia con l’uva e la pappa col pomodoro! Volevo farti vedere com’è cresciuta Viola, che ama la danza come mamma e come ‘zia Lara’… abbiamo rimandato troppo, anche per via di una pandemia, eh… e ora che sembra ‘sotto controllo’ quella, almeno da queste parti, siamo ripiombati nell’incubo della guerra in Europa, almeno l’angoscia per la catastrofe nucleare te la risparmi, altro che magone! Ma ora chi penserà a chiamare i pompieri per una cavalletta?
Ricordo con emozione e gratitudine ogni momento vissuto insieme, soprattutto le tue carezze sul pancione, dal tuo arrivo alla stazione
alla giratina in centro
“i colori di Firenze e della Fiorentina!” Lara: “veramente… è la bandiera del Rimini”
Un sorriso tra le lacrime, luce e colori per la bella persona che è passata alla vita che non passa, è stata un dono nella vita di chi l’ha conosciuta.
Lara era una tifosa del Rimini, la squadra che ci faceva tribolare in C2 quando ci si chiamava come uno stabilimento balneare della Versilia, Florentia Viola con la maglia bianca perché alla Fiorentina avevano tolto nome e colore… Lara era bella e simpatica, ballava quando non lavorava, amava i girasoli, ballare, mangiare, ridere, aiutare gli altri… Lara era mia amica, anche se ci si frequentava poco fisicamente, ma dei momenti insieme ricordi indelebili. E delle telefonate con l’accento a tortellino…
A Dio, Lara bella, Lara sorridente, Lara che mi accarezzavi il pancione emozionata per i calci di Viola… GRAZIE
E poi, a casa, un po’ di malinconia prima dell’ultima messa dell’anno (in vista di una serata per noi non troppo diversa dalle nostre precedenti ‘veglie’ di fine anno, senza cenoni o veglioni, con il fim a cartoni – “Aristogatti” – in compagnia di Viola e brindisi a mezzanotte con spumante brut e dodici chicchi d’uva… ma per tanti non sarà una scelta la rinuncia a feste e grandi riunioni, proprio noi, anzi, avremo una persona in più, Emanuele che resta con noi invece di raggiungere la fidanzata e la sua famiglia… la pandemia non ci molla). E allora un’idea dal foglietto quotidiano di San Jack:
“Questa giornata rischia di avere un sottofondo di malinconia per tutto quello che non è andato bene nell’anno appena trascorso. Qualche anno fa ho scoperto quanto sia bello, in questo giorno così strano, prendermi un’ora di tempo e fermarmi: pormi davanti al tabernacolo e ripercorrere insieme a Lui l’anno appena trascorso. Questa è diventata un momento a cui non voglio rinunciare, essenziale per concludere un tempo nel migliore dei modi. In questa sosta scrivo il mio Te Deum: la mia lode al Padre per i dodici mesi che mi sono stati donati. Scelgo poi dodici istantanee, una per ogni mese: dodici foto per benedire il tempo ricevuto in dono”
Un’ora davanti al tabernacolo non mi tocca, oggi, ma una sosta di ringraziamento sì! E senza scrivere qui tante parole, ringrazio in cuore
Quali sono le dodici istantanee che compongono il mio Te Deum?
Ne ho dovute lasciare tante, a scegliere una sola per mese. E invece i motivi di gratitudine sono tanti di più.