Vita per sempre

e gioia senza fine dona loro, Signore.

Asciuga le nostre lacrime e impasta di cielo i nostri giorni ancora sulla terra, ripara e cura quel che forse è rimasto tra le ferite e i danni dopo le cadute della loro fragilità. I cari defunti non sono morti per sempre, sono avanti, anzi, più vivi di noi. La danza di foglie cadute dagli alberi, prima carezza vera di questo autunno in ritardo, un dono di chi non smetterò di amare.

“E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno”

In chiesa, dopo la messa, presa la lettera del Vescovo, conforto e sostegno alla speranza. Riportava anche una bella citazione del Cardinale Newman:

Noi, per poco, li abbiamo perduti, l’Amore non ci perde.

27 maggio 1993, Firenze ferita a morte

era tanto caldo anche quella sera di maggio di 29 anni fa. Buchi di memoria in quegli anni, ma la sera diventata notte di quasi trent’anni fa non la dimentico…


Era una notte di maggio da stare con la finestra spalancata. Un maggio caldo, confuso nella memoria con gli altri mesi e anni di cui ricordo poco e in disordine, perché non stavo bene, ero un po’ fuori dal mondo. Pesavo meno di una bambina, ossa e nervi a pelle, un’angoscia divorante che si è mangiata tanta parte della mia vita e dei miei ricordi… anche ora che con i chili tornati a far da confine tra l’anima e il mondo non conto più gli anni di vita nuova e per molte cose mi sono decisamente ripresa, sento a volte il buco nella memoria come una ferita che non si rimargina. Forse sono la sola della mia età, per esempio, a non ricordare dove fossi e che facessi il giorno della strage di Capaci (probabilmente ero in ospedale). Ma ricordo con precisione quella notte di maggio tra il 26 e il 27.


Ero alla finestra di cucina, con vista sulle luci di Firenze, a fumare una sigaretta dopo aver salutato il ragazzo che frequentavo… Massimiliano, che abitava diladdarno, in centro, a due passi dai luoghi colpiti quella notte, a una sigaretta dal Ponte Vecchio… zona di piazza Pitti.
Sentire un boato proveniente proprio da quella parte… un tuffo al cuore.


Sì, come molti quella notte a Firenze, lì per lì pensai a una fuga di gas, a un brutto incidente, non immaginavo un attentato lì, qui. Proprio qui a Firenze, proprio lì, a due passi dal Ponte Vecchio.


Il cuore perse qualche battito.


Nella notte tra il 26 e il 27 maggio 1993, Angela Fiume, 36 anni, suo marito Fabrizio Nencioni di 39 anni, le loro bambine Nadia, piccola poetessa di 9 anni, e Caterina, vita nuova nuova, di soli 50 giorni… e lo studente di architettura Dario Capolicchio (22 anni) persero la vita per una bomba che provocò anche tanti feriti, distrusse la storica Torre de’ Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili…

Compleanno in cielo…

Oggi avrei cercato immagini belle dei fiori che più amavi per farti gli auguri, avresti compiuto 54 anni, invece li uso per salutarti, perché ora sei fuori dal tempo, libera dal passare degli anni. Non era così che immaginavo la tua uscita dal tunnel, ma se ti eri stancata di arredarlo, ti capisco. Ci manca il tuo sorriso, Lara, ci hai gelati tutti con la notizia della tua morte. Gli ultimi messaggi con te il 27 febbraio e il 4 marzo un malore improvviso… lo abbiamo saputo mercoledì 8 marzo, non ci si credeva, ancora non mi capacito…

Dovevi tornare a mangiare la schiaccia con l’uva e la pappa col pomodoro! Volevo farti vedere com’è cresciuta Viola, che ama la danza come mamma e come ‘zia Lara’… abbiamo rimandato troppo, anche per via di una pandemia, eh… e ora che sembra ‘sotto controllo’ quella, almeno da queste parti, siamo ripiombati nell’incubo della guerra in Europa, almeno l’angoscia per la catastrofe nucleare te la risparmi, altro che magone! Ma ora chi penserà a chiamare i pompieri per una cavalletta?

Ricordo con emozione e gratitudine ogni momento vissuto insieme, soprattutto le tue carezze sul pancione, dal tuo arrivo alla stazione

alla giratina in centro

“i colori di Firenze e della Fiorentina!”
Lara: “veramente… è la bandiera del Rimini”

Era il 13 ottobre 2012, ero incinta di Viola e Lara era venuta a trovarci a Firenze:

Un sorriso tra le lacrime, luce e colori per la bella persona che è passata alla vita che non passa, è stata un dono nella vita di chi l’ha conosciuta.

Lara era una tifosa del Rimini, la squadra che ci faceva tribolare in C2 quando ci si chiamava come uno stabilimento balneare della Versilia, Florentia Viola con la maglia bianca perché alla Fiorentina avevano tolto nome e colore… Lara era bella e simpatica, ballava quando non lavorava, amava i girasoli, ballare, mangiare, ridere, aiutare gli altri… Lara era mia amica, anche se ci si frequentava poco fisicamente, ma dei momenti insieme ricordi indelebili. E delle telefonate con l’accento a tortellino…

A Dio, Lara bella, Lara sorridente, Lara che mi accarezzavi il pancione emozionata per i calci di Viola… GRAZIE

Antonio, ieri, è volato via

ancora non ci si crede, anche se Antonio era malato da tempo. Ieri mattina la notizia della sua morte è arrivata come un pugno, un dolore assurdo per chi aveva avuto la gioia di ascoltarlo parlare anche di cose serie e gravi o di goderne la musica e i sorrisi, la generosità e la cultura. Non ci sono parole per consolare il dolore di sua madre, la mia carissima amica Annalisa, la fatina Ilike dei tempi di digiland, la splendida mamma, amica, soprano e il dolore di suo padre, il Maestro Domenico Molinini, ma per Antonio sono state scritte parole doverose e belle già ieri… scelgo, tra i vari pezzi apparsi on line, un articolo di Giuseppe di Bisceglie, si può leggere QUI

Antonio Molinini (1981-2021)

Ciao Antonio, hai smesso di suonare qui, hai chiuso gli occhi a questa serie finita di giorni e gioie belle e dolori tanti, troppi per la tua giovane età, credo e spero che tu li abbia già riaperti nella gioia che non finisce, nella vita che non passa. Ora le preghiere sono per il tuo ultimo viaggio e perché arrivi conforto ai tuoi genitori.

Annalisa Balducci, Domenico e Antonio Molini


Ti saluto con la tua musica, maestro Molinini Junior ❤️

una rosa per te, un pensiero per tutti

E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi
e non vi sarà più la morte
né lutto né lamento né affanno


(Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo)

Ero piccola quando è morta nonna Gemma, ma ricordo le lacrime e anche un po’ di arrabbiatura perché non mi facevano andare al funerale, ero rimasta fuori dalla chiesa con un’amica dei miei genitori, una signora bionda, elegante, con gli occhi chiari e i capelli biondi cortissimi che mi parlava di cielo e viaggi per posti lontani… ci pensavo mentre mi avvicinavo al cimitero di San Martino a Brozzi, a piedi.

Ero scesa troppo presto dal bus, stamattina, all’andata, mi ero persa per Brozzi… bellina. Un’altra volta, se usciremo dall’incubo del Covid, magari farò una gita per ammirare l’antico borgo… oggi ero andata solo per babbo. E mentre camminavo verso San Martino, pensieri per tutti.

Nonna Gemma era molto devota alla Madonna, ero piccola, ma qualcosa ricordo… inevitabile pensarci con tante immagini della Vergine per via

Ero grande di età, ma senza il conforto della fede, quando è morto il nonno Giuliano.

piccina tra nonno Giuliano e nonna Gabriella

La morte di nonna Gabriella mi ha riportata in chiesa, non solo per il funerale…

con Viola neonata e nonna Gabriella ultracentenaria

La morte che neanche potevo immaginare senza angoscia è arrivata come un colpo d’ascia e ancora mi sento mancare il terreno sotto i piedi… babbo, per te, solo per te ho smesso di pensare che la visita ai cimiteri non conta, che quel che vale sul serio è il pensiero, il ricordo, la memoria nel cuore, nella mente e nella preghiera… a te, ogni volta che posso venire a ripulire la foto sulla tomba, una rosa bianca almeno… accanto all’olivo che mamma ti ha voluto piantare in omaggio al tuo essere stato un uomo di pace davvero.

E poi si sono aggiunti nomi e volti cui pensare con dolore a volte, a volte con un sorriso per il tanto di amore rimasto tra cielo e terra, con la nostalgia inevitabile, ma con la speranza fondata sull’esperienza della guarigione del cuore, assaggio di eternità, prove tecniche di resurrezione… sempre. E ricordo anche chi è andato avanti prima…
Aspettateci in paradiso
!


Per tutti i miei cari defunti, per i morti di questo tempo di pandemia, per i defunti per cui nessuno prega, per i morti di morte improvvisa, per tutte le anime che non hanno rifiutato l’Amore (e lo sai solo Tu)… Signore, che ci attendano nella gioia senza fine

con tutti i santi

Due anni senza te, babbo

… strapperà su questo monte
il velo che copriva la faccia di tutti i popoli
e la coltre distesa su tutte le nazioni.
Eliminerà la morte per sempre.
Il Signore asciugherà le lacrime su ogni volto…
(Isaia)

Fino all’inizio di questa strana estate, dopo mesi sospesi (ancora l’anima a volte sembra rimasta all’inverno, ha saltato la primavera e si scopre smarrita nella luce abbagliante di luglio), quel che resta del tuo corpo, babbo, era ancora senza tomba, sepoltura provvisoria solo la bara di legno nella terra, la croce di legno, l’olivo e piantine… e, le rare volte che sono venuta, ti ho portato la rosa bianca che amavi tanto.

Perché ti rattristi, anima mia,
perché ti agiti in me?
Spera in Dio

(Salmo 41)


Non ero pratica di visite ai sepolcri, solo per te, babbo, ho imparato a capire in parte il senso di onorare anche il luogo fisico, la porzione di spazio che in un frammento di tempo ospita i resti di chi ho tanto amato in vita, tutto intero: intelligenza e limiti, fede viva e piccole grandi paure, generosità e attacchi di panico, carità e carne, debolezza, acciacchi della malattia e dell’età… non mi bastano i tuoi scritti e le foto che si ritrovano ancora, mi manca la tua voce, l’odore del sigaro, la tenerezza infinita di babbo e nonno. Manchi tanto, babbo, manchi a me, a Viola… e a tante persone, a chi non lo dice, ma si sente, a chi lo dice spesso, a chi me lo scrive ancora dopo due anni dalla tua morte…
A me ora tornano in mente i momenti più belli, ti rivedo (anche grazie alle fotografie ingiallite che mamma ha ripescato dai cassetti) quando eri giovane e noi piccini…

rimescolìo di memorie, emozioni, lacrime e sorrisi. E a volte persino vere e proprie risate!

Perché sì, hai sofferto anche di depressione nera, soprattutto negli ultimi anni, ma non eri una persona triste, anzi. Mi hai insegnato tu a ridere e sorridere, amare la musica, il cinema, il teatro, la poesia, i romanzi, il buon cibo, il vino, il fumo (ma ho smesso per la salute), il profumo, la bellezza e tutto quel che non porta utile, non serve a sopravvivere, ma nutre la gioia per cui vale la pena vivere

Ero piccina, in braccio a zia Valentina, sorella della nonna Gabriella, con babbo Lodovico che sorrideva e mi guardava con amore, un amore che non scordo

Adesso c’è una tomba, finito il lockdown, appena mi è stato possibile, sono venuta a vedere. Volevo mettere la nostra rosa bianca accanto al tuo ritratto, ma la fioraia del cimitero non aveva più rose. Il delicato Lisianthus che mi ha proposto mi piaceva, sembra un mazzolino di rose bianche…

Preghiere, lacrime, parole senza voce… già aspettando l’autobus per il ritorno, all’ombra di un albero, non sotto il sole come all’andata, anche se all’andata è stata una bella sorpresa scoprire vicino al cimitero una panchina rossa con quel che significa…

alle lacrime si è sostituito un sorriso dal cuore, nella fiducia che ci ritroveremo in una maniera che non posso immaginare, ma che mette le ali alla mia speranza…

come l’olivo che sarà segno e ricordo e promessa

Giornata della memoria della Shoah

Se si tenesse un minuto di silenzio per ogni vittima della Shoah, il mondo dovrebbe rimanere in silenzio per undici anni e mezzo.

 

75 anni fa le truppe sovietiche entrarono per la prima volta nel campo di sterminio di Auschwitz scoprendo l’orrore del genocidio nazista. Ricordiamo i 6 milioni di uomini, donne e bambini uccisi semplicemente perché erano ebrei. Rimarranno sempre nei nostri pensieri e nelle nostre preghiere.

 

 

75 anni fa venne “liberato” il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Tra i sopravvissuti cadaverici che ne uscirono mia nonna materna e mia zia maggiore non c’erano, come non c’era nessuno dei 26 membri della mia famiglia paterna deportati lì anche loro con migliaia di altri ebrei, rom, politici, sacerdoti, omosessuali, disabili e dissidenti che riposano, speriamo in pace, in quella terra polacca tristemente celebre. Sono nato quasi un mese dopo questa liberazione, da genitori profondamente feriti e per sempre mentalmente devastati, che mai ce ne dissero una parola ma che ci trasmisero lo strazio comunque. Qaddish eterno per tutte le vittime, questa memoria non sparirà mai

  (il mio caro amico Jean-Michel Albert Carasso)

Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario.

(Primo Levi)

l’olivo e la rosa

… strapperà su questo monte
il velo che copriva la faccia di tutti i popoli
e la coltre distesa su tutte le nazioni.
Eliminerà la morte per sempre.
Il Signore asciugherà le lacrime su ogni volto…
(Isaia)

Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio,
nessun tormento li toccherà.
Agli occhi degli stolti parve che morissero,
la loro fine fu ritenuta una sciagura,
la loro partenza da noi una rovina,
ma essi sono nella pace.
Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi,
la loro speranza resta piena d’immortalità.
In cambio di una breve pena riceveranno grandi benefici,
perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé;
li ha saggiati come oro nel crogiolo
e li ha graditi come l’offerta di un olocausto.
Nel giorno del loro giudizio risplenderanno,
come scintille nella stoppia correranno qua e là…
(Sapienza)

«Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio»
(Vangelo secondo Matteo)

Perché ti rattristi, anima mia,
perché ti agiti in me?
Spera in Dio
(Salmo 41)

«Ecco la tenda di Dio con gli uomini!
Egli abiterà con loro
ed essi saranno suoi popoli
ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio.
E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi
e non vi sarà più la morte
né lutto né lamento né affanno,
perché le cose di prima sono passate».
(Apocalisse)

Non aspetto il giorno della commemorazione dei defunti, ogni giorno penso al babbo, prego per mio padre e per tutti i nostri cari andati avanti…. lunedì mattina sono andata a portare una rosa bianca sulla sepoltura ancora senza tomba del babbo. Terra e piante. L’olivo cresce e i suoi rami abbracciano la croce di legno e accarezzano la foto provvisoria.
Non sono pratica di visite ai sepolcri, ma per babbo Lodovico capisco il senso di onorare anche il luogo fisico, la porzione di spazio che in un frammento di tempo ospita i resti di chi ho tanto amato in vita, tutto intero: intelligenza e limiti, fede viva e piccole grandi paure, generosità e attacchi di panico, carità e vizio del fumo, cultura immensa e carne, debolezza, acciacchi della malattia e dell’età… non mi bastano i suoi scritti e il ricordo del suo amore, mi manca la sua voce, l’odore del sigaro, la tenerezza infinita come babbo e come nonno. Manchi tanto, babbo, manchi a me, a mamma, a Viola… e a tante persone, a chi non lo dice, ma si sente, a chi lo dice spesso, a chi me lo scrive…
A me ora tornano in mente i momenti più belli, ti rivedo (anche grazie alle fotografie ingiallite che mamma ha ripescato dai cassetti) quando eri giovane e quasi snello!

E me piccina, poi ragazza… rimescolìo di memorie emozioni lacrime e sorrisi e a volte persino vere e proprie risate!

Perché sì, hai sofferto di depressione nera, soprattutto negli ultimi anni, ma non eri una persona triste, anzi.

Grazie, babbo, aspettami

Ricercatrice e testimone di luce

“Più si fa buio intorno a noi e più dobbiamo aprire il cuore alla luce che viene dall’alto”

 

Edith Stein

(Breslavia, Polonia, 12 ottobre 1891 – Auschwitz, Polonia, 9 agosto 1942)

A un compagno di prigionia nel lager, dove fu uccisa nella camera a gas, disse: “Non avrei mai immaginato che gli uomini potessero essere così… e che le mie sorelle e i miei fratelli ebrei dovessero soffrire tanto… Ora io prego per loro. Ascolterà Dio la mia preghiera? Certamente ascolterà il mio lamento”

Edith Stein nasce a Breslavia, capitale della Slesia prussiana, il 12 ottobre 1891, da una famiglia ebrea di ceppo tedesco. Allevata nei valori della religione israelitica, a 14 anni abbandona la fede dei padri divenendo agnostica. Studia filosofia a Gottinga, diventando discepola di Edmund Husserl, il fondatore della scuola fenomenologica. Ha fama di brillante filosofa. Nel 1921 si converte al cattolicesimo, ricevendo il Battesimo nel 1922. Insegna per otto anni a Speyer (dal 1923 al 1931). Nel 1932 viene chiamata a insegnare all’Istituto pedagogico di Münster, in Westfalia, ma la sua attività viene sospesa dopo circa un anno a causa delle leggi razziali. Nel 1933, assecondando un desiderio lungamente accarezzato, entra come postulante al Carmelo di Colonia. Assume il nome di suor Teresa Benedetta della Croce. Il 2 agosto 1942 viene prelevata dalla Gestapo e deportata nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau dove il 9 agosto muore nella camera a gas.

Una testimonianza dal lager la ricorda così: “Tra tutti gli altri deportati suor Teresa Benedetta attirava l’attenzione per la sua calma e il suo abbandono. Le urla e la confusione nel campo erano indescrivibili. Lei andava qua e là tra le donne consolando, aiutando e calmando come un angelo. Molte madri, vicine ormai alla follia, non si occupavano più dei loro bambini e guardavano davanti a sé con ottusa disperazione. Lei li lavava, li pettinava, e curava”

 

Nel 1987 viene proclamata Beata, è canonizzata da Giovanni Paolo II l’11 ottobre 1998. Nel 1999 viene dichiarata, con S. Brigida di Svezia e S. Caterina da Siena, Compatrona dell’Europa.

 

Un pugnetto di cenere e di terra scura passata al fuoco dei forni crematori di Auschwitz: è ciò che oggi rimane di Santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein; ma in maniera simbolica, perché di lei effettivamente non c’è più nulla. Un ricordo di tutti quegli innocenti sterminati, e furono milioni, nei lager nazisti. Questo piccolo pugno di polvere si trova sotto il pavimento della chiesa parrocchiale di San Michele, a nord di Breslavia, oggi Wroclaw, a pochi passi da quel grigio palazzetto anonimo, in ulica (via) San Michele 38, che fu per tanti anni la casa della famiglia Stein. I luoghi della tormentata giovinezza di Edith, del suo dolore e del suo distacco.
Sulla parete chiara della chiesa, ricostruita dopo la guerra e affidata ai salesiani, c’è un arco in cui vi è inciso il suo nome. Nella cappella, all’inizio della navata sinistra, si alzano due blocchi di marmo bianco: uno ha la forma di un grande libro aperto, a simboleggiare i suoi studi di filosofia; l’altro riproduce un grosso numero di fogli ammucchiati l’uno sopra l’altro, a ricordare i suoi scritti, la sua produzione teologica. Ma cosa resta veramente della religiosa carmelitana morta ad Auschwitz in una camera a gas nell’agosto del 1942?
Certamente, ben più di un simbolico pugnetto di polvere o di un ricordo inciso nel marmo. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, la sua vicenda è balzata via via all’attenzione della comunità internazionale, rivelando la sua grande statura, non solo filosofica ma anche religiosa, e il suo originale cammino di santità: era stata una filosofa della scuola fenomenologica di Husserl, una femminista ante litteram, teologa e mistica, autrice di opere di profonda spiritualità, ebrea e agnostica, monaca e martire. (…)
Elevata all’onore degli altari l’11 ottobre 1998, la sua santità non può comprendersi se non alla luce di Maria, modello di ogni anima consacrata, suscitatrice e plasmatrice dei più grandi santi nella storia della Chiesa. Beatificata in maggio (del 1987), dichiarata santa in ottobre, entrambi mesi di Maria: si è trattato soltanto di una felice quanto fortuita coincidenza?
C’è in realtà un “filo mariano” che si dipana in tutta l’esperienza umana e spirituale di questa martire carmelitana. A cominciare da una data precisa, il 1917. In Italia è l’anno della disfatta di Caporetto, in Russia della rivoluzione bolscevica. Per Edith il 1917 è invece l’anno chiave del suo processo di conversione. L’anno del passo lento di Dio. Mentre lei, ebrea agnostica e intellettuale in crisi, brancola nel buio, non risolvendosi ancora a “decidere per Dio”, a molti chilometri dall’università di Friburgo dov’è assistente alla cattedra di Husserl, nella Città Eterna, il francescano polacco Massimiliano Kolbe con un manipolo di confratelli fondava la Milizia dell’Immacolata, un movimento spirituale che nel suo forte impulso missionario, sotto il vessillo di Maria, avrebbe raggiunto negli anni a venire il mondo intero per consacrare all’Immacolata il maggior numero possibile di anime. Del resto – e come dimenticarlo? – quello stesso 1917 è pure l’anno delle apparizioni della Madonna ai pastorelli di Fatima. Un filo mariano intreccia misteriosamente le vite dei singoli esseri umani stendendo la sua trama segreta sul mondo.
Decisiva per la conversione della Stein al cattolicesimo fu la vita di santa Teresa d’Avila letta in una notte d’estate. Era il 1921, Edith era sola nella casa di campagna di alcuni amici, i coniugi Conrad-Martius, che si erano assentati brevemente lasciandole le chiavi della biblioteca. Era già notte inoltrata, ma lei non riusciva a dormire. Racconta: “Presi casualmente un libro dalla biblioteca; portava il titolo “Vita di santa Teresa narrata da lei stessa”. Cominciai a leggere e non potei più lasciarlo finché non ebbi finito. Quando lo richiusi, mi dissi: questa è la verità”. Aveva cercato a lungo la verità e l’aveva trovata nel mistero della Croce; aveva scoperto che la verità non è un’idea, un concetto, ma una persona, anzi la Persona per eccellenza. Così la giovane filosofa ebrea, la brillante assistente di Husserl, nel gennaio del 1922 riceveva il Battesimo nella Chiesa cattolica.
Edith poi, una volta convertita al cattolicesimo, è attratta fin da subito dal Carmelo, un Ordine contemplativo sorto nel XII secolo in Palestina, vero “giardino” di vita cristiana (la parola karmel significa difatti “giardino”) tutto orientato verso la devozione specifica a Maria, come segno di obbedienza assoluta a Dio. Particolare non trascurabile – un’altra coincidenza? – il giorno in cui la Stein ottiene la risposta di accettazione da parte del convento di Lindenthal, per cui aveva tanto trepidato nel timore di essere rifiutata, è il 16 luglio del 1933, solennità della Regina del Carmelo. Così Edith offrirà a lei, alla Mamma Celeste, quale omaggio al suo provvidenziale intervento, i grandi mazzi di rose che riceve dai colleghi insegnanti e dalle sue allieve del collegio “Marianum” il giorno della partenza per l’agognato Carmelo di Colonia.
Il 21 aprile 1938 suor Teresa Benedetta della Croce emette la professione perpetua. Fino al 1938 gli ebrei potevano ancora espatriare, in America perlopiù o in Palestina, poi invece – dopo l’incendio di tutte le sinagoghe nelle città tedesche nella notte fra il 9 e il 10 novembre, passata alla storia come “la notte dei cristalli” – occorrevano inviti, permessi, tutte le carte in regola; era molto difficile andare via. In Germania era già cominciata la caccia aperta al giudeo.
La presenza di Edith al Carmelo di Colonia rappresenta un pericolo per l’intera comunità: nei libri della famigerata polizia hitleriana, infatti, suor Teresa Benedetta è registrata come “non ariana”. Le sue superiori decidono allora di farla espatriare in Olanda, a Echt, dove le carmelitane hanno un convento.
Prima di lasciare precipitosamente la Germania, il 31 dicembre del 1938, nel cuore della notte, suor Teresa chiede di fermarsi qualche minuto nella chiesa “Maria della Pace”, per inginocchiarsi ai piedi della Vergine e domandare la sua materna protezione nell’avventurosa fuga verso il Carmelo di Echt. “Ella – aveva detto – può formare a propria immagine coloro che le appartengono”. “E chi sta sotto la protezione di Maria – lei concludeva –, è ben custodito.”
L’anno 1942 segnò l’inizio delle deportazioni di massa verso l’est, attuate in modo sistematico per dare compimento a quella che era stata definita come la Endlösung, ovvero la “soluzione finale” del problema ebraico. Neppure l’Olanda è più sicura per Edith. Il pomeriggio del 2 agosto due agenti della Gestapo bussarono al portone del Carmelo di Echt per prelevare suor Stein insieme alla sorella Rosa. Destinazione: il campo di smistamento di Westerbork, nel nord dell’Olanda. Da qui, il 7 agosto venne trasferita con altri prigionieri nel campo di sterminio di Auschwitz- Birkenau. Il 9 agosto, con gli altri deportati, fra cui anche la sorella Rosa, varcò la soglia della camera a gas, suggellando la propria vita col martirio: non aveva ancora compiuto cinquantuno anni.

Maria Di Lorenzo (riportato dalla pagina Santi e Beati)

frammenti di storia… i fucilati alle Cascine

Tornata a correre vicino alle rive del fiume,

nel caldo di questo agosto fiorentino,

mentre si avvicina l’anniversario della Liberazione di Firenze, non mi sono solo fermata a dire una preghiera e lasciare un fiorellino stavolta… oggi ho fatto le foto al monumento nel parco che ricorda le vittime di una strage fascista quasi dimenticata.

Tutti, almeno a Firenze, sanno dell’eccidio di piazza Tasso. Nella mattinata del 17 Luglio 1944, molti abitanti del quartiere fiorentino di San Frediano erano in piazza. Si trattava in gran parte di donne, anziani e bambini dato che i giovani e gli uomini adatti alle armi erano quasi tutti nascosti per evitare i rastrellamenti. Nel pomeriggio, si presentò un camion con a bordo alcuni repubblichini, guidati da Giuseppe Bernasconi, braccio destro del comandante delle SS Italiane, il famigerato Mario Carità, e si fermò all’angolo tra via Giovanni Villani e viale Francesco Petrarca. E all’improvviso i miliziani aprirono il fuoco sulla gente in piazza. Sotto i colpi dei fascisti rimasero cinque vittime: Ivo Poli (un bambino, di soli otto anni), Aldo Arditi, Igino Bercigli, Corrado Frittelli e Umberto Peri; si contarono inoltre numerosi feriti più o meno gravi.
Ma altri abitanti del quartiere furono catturati e di loro si persero le tracce. Solo molti anni dopo furono ritrovati i loro corpi sul greto dell’Arno, nel parco delle Cascine.

Erano stati fucilati.

Ne parla un libro, “Fucilati alle Cascine”, scritto da Franco Quercioli e Antonio Bernardini: la scena si apre su una calda notte di fine luglio del ’44.

Il 24 Luglio 1944, alle Cascine di Firenze, sul greto dell’Arno, 17 uomini vengono fucilati. I loro corpi spariscono nel nulla, diventano “desaparecidos”. Poi finisce la guerra. L’Italia s’incammina verso la famosa ripresa economica. La memoria di quegli uomini comincia a sbiadire fino a quando, dodici anni dopo, ne vengono ritrovati i resti.
Dove ho fatto le foto

Gli uomini messi in fila per essere uccisi non erano tutti patrioti e partigiani. C’erano anche quattro ragazzi romani che facevano parte di un battaglione della Repubblica Sociale Italiana che rastrellava i partigiani. Forse erano dei disertori catturati a Firenze, vicino alla Stazione di Santa Maria Novella, mentre cercavano di prendere un treno per Roma. Tra i partigiani uccisi ci fu anche un prete, don Elio Monari.

Ogni volta, quando riprendo a correre, penso… e non mi va di scrivere che cosa penso. Certo non voglio siano dimenticati

i loro nomi

7 agosto 2019 eccidio Cascine i nomi