PRESENZA REALE di Don Manuel Belli

Caro cardo salutis e non solo della salvezza, anche della verità.
Non solo la teologia può servirsi degli strumenti della ricerca filosofica, anche la filosofia può ricevere impulso dai temi della teologia, in particolare a proposito del corpo, inteso come corpo vivente e vissuto “… il lavoro fenomenologico non smette di essere fecondo nel tematizzare l’umano come chi nel mondo non può vivere eludendo la questione del senso. L’ermeneutica dei vissuti corporei risulta essere un altro luogo filosofico da presidiare. Cristo lega ad un rito la narrazione della propria corporeità, tanto che corpo e rito non possono più essere disgiunti. Ma ciò che il corpo/rito di Cristo esprime in un grado particolarmente elevato di solennità non è estraneo ai vissuti ordinari di corporeità. Non esistono corpi che non celebrino riti. I corpi non sono mai inerti e non sono semplici esposizioni a ciò che li trascende. Il corpo, punto zero di ogni passività, è anche il luogo di ogni attività, soglia di accoglienza e azione, di ascolto e presa di posizione, di reazione e azione. Il corpo è sempre attore sul palco del mondo: ogni movimento muscolare, ogni impressione e ogni apprensione costituiscono la perenne messa in scena di un senso a cui non possiamo mai sottrarci. Il corpo non finisce con la pelle: i confini della corporeità si perdono nell’intreccio con altri corpi, con gli oggetti, con gli spazi.
La cena di Gesù, nei testi che la raccontano e nei riti che la esprimono, costituisce un perenne invito a tutti coloro che pensano (e “filosofia” è il nome del pensiero che si fa rigoroso) a non smarrire la complessità della corporeità” (pagina finale di Presenza reale” ).

Nel pomeriggio ho finito di leggere il saggio di Don Manuel Belli iniziato diverso tempo fa e interrotto per altre letture più lievi, per impegni, stanchezza, pigrizia… (quante scuse trova la pigrizia! Sembrano ragioni, a volte), ma mai abbandonato, perché il tema mi appassiona e soprattutto per questo motivo, per non far finta di leggerlo senza capirci un tubo (non che ora ci abbia capito tutto!), aspettavo un momento di calma e lucidità. Se aspetti il momento perfetto non studi non fai mai nulla… stasera, cercando un po’ di notizie su questo studio ricco e tosto, accurato, ricco di fonti, citazioni, rimandi… ho scoperto di aver letto e amato un libro “eretico”! No, non lo ha dichiarato eretico il Papa, lo dicono alcuni blog ‘ultracattolici’.. a me sembra un lavoro molto interessante e pieno di amore per Gesù e l’Eucaristia oltre che di legittima curiosità intellettuale e ricerca storica. Provo a presentarlo al volo.

Manuel BelliPresenza reale. Filosofia e teologia di fronte all’eucaristia, Brescia, Queriniana, 2022
Cinque capitoli densi e nutrienti:

1. Le ragioni di una ricerca e le opzioni metodologiche
2. Pascasio e Ratramno: i confini del vero e del reale
3. Lanfranco e Berengario: l’eucaristia alla prova della retorica
4. Tommaso d’Aquino: metafisica ed eucaristia
5. L’eucaristia dà da pensare? Scenari fenomenologici

Mi ero un po’ incartata con Berengario, si sono risvegliati ricordi di anni lontani, in cui ero ‘lontana’…

ne avevo accennato in un commento su facebook quando mi ero comprata il libro, dopo aver ascoltato diversi commenti al Vangelo della Domenica su “Scherzi da prete”, il canale YouTube di Don Manuel Belli e le registrazioni di alcune sue dirette su temi per me caldi: fede, ragione, rapporti tra fede e ragione, riti, chiesa, Chiesa, confessione…

Don Fulvio Capitani con i due libri di Manuel Belli

Don Fulvio aveva ricevuto sia questo che un altro libro di Manuel Belli, “La trama della fede” e…

ricordavo i miei esami di storia della filosofia medievale, con le controversie eucaristiche e altre dispute, i confronti tra Lanfranco e Berengario, Pascasio e Ratramno, fino alla vetta di rigore e raffinatezza dell’Aquinate (non è stato Tommaso il primo a parlare di transustanziazione, ma, per offrire i migliori strumenti ermeneutici possibili alla questione della comprensione dell’Eucaristia, ha usato il rigore aristotelico fino all’estremo delle sue possibilità, fino a sovvertire la metafisica).

Meno noti e quindi particolarmente affascinanti per me gli scenari fenomenologici, soprattutto nel sorprendente e fecondo intreccio con la teologia dei sacramenti. Dal capitolo su Tommaso d’Aquino la lettura è diventata un volo… il capitolo finale “L’eucaristia dà da pensare? Scenari fenomenologici” mi ha incollata alla sedia. GRAZIE


“…la consegna reciproca del corpo costituisce la semantica fondamentale dell’amore sponsale. Paolo stesso stabilisce un nesso tra l’amore sponsale e quello di Cristo per la sua chiesa (Ef7). Colui che si rende presente nell’eucaristia non è semplicemente l’anonimo corpo della divinità, ma il vertice di donazione amorosa a cui sia possibile giungere. Il pane spezzato solo metafisicamente è un accidente: in realtà c’è una evidente consonanza tra l’oblatività di Cristo e la simbolicità di un pane spezzato e condiviso. Non si tratta di negare la presenza di Cristo e nemmeno di esaltare una dimensione simbolica a discapito di quella realista: un corpo è sempre vissuto. E il vissuto di Cristo è indelebilmente legato all’amore. Ghislain Lafont sostiene che «tutto il realismo dell’eucaristia, dall’epoca barocca fino ai nostri giorni, si è incentrato non sull’atto del mangiare, ma sulla presenza reale di Cristo in ciò che viene mangiato». Il problema non è affermare o negare il realismo della presenza, ma aprire il problema al realismo amoroso del dono eucaristico. (…)
Il corpo non è inerte (…) Il pane spezzato e il corpo crocifisso sono l’uno lo specchio dell’altro, appartenenti all’unico movimento corporeo dove l’amore non è meno reale della presenza.”

dopo la clausura non scelta

Dopo tre dosi di vaccino a testa per noi adulti (doppio Pfizer e booster Moderna) e le due previste per i bambini a Viola, alla fine anche qui è arrivato il Covid. Per prima la bimba, che probabilmente lo ha preso a scuola, poi febbrone anche a me (la prima notte col virus mi è salita la febbre a 40°) e test rapido casalingo chiarissimo:

14 marzo, positiva 😦

Rinunciare alla messa (diventata appuntamento quotidiano da qualche tempo) per tre domeniche di fila in quaresima è stata una severa penitenza. Mi è dispiaciuto anche di più mancare a tre incontri di fila con i bambini del catechismo. Per loro, visto che non potevo raccontare di persona la storia del giardino e del frutto proibito, prevista nella sequenza per il primo anno, in cucina, con cellulare e disegni, mi sono cimentata in un video che l’altra nuova catechista, Suor Anne, ha fatto vedere e sentire domenica scorsa ai nostri piccoli:

Al tramonto di mercoledì 16 marzo, inizio di Purim, lettura del libro di Ester con Viola e maschere arrangiate in casa per noi recluse anche se sfebbrate.

Per San Giuseppe ancora in casa, sempre positiva (Viola guarita presto, per me e per Sandro è stata più lunga, contagiata anche mia madre, in forma più lieve, ma di lunga e lenta negativizzazione).

E sempre ‘ai domiciliari’ per il capodanno fiorentino, solennità dell’Annunciazione,

con punte di insofferenza (al piano di sopra lavori di ristrutturazione e colpi, botte, trapano a tutte le ore sul capo senza poter uscire e scappare dai rumori…), ma la rinuncia forzata alla messa mi ha consentito di seguire in diretta la liturgia penitenziale presieduta dal Papa e la sua bella preghiera di consacrazione per la pace: momento intenso.

Conforti colorati dai fiori sbocciati ancora

Sono arrivati anche libri nutrienti per il cuore,

conforto assaggiato già, ma lettura distesa rimandata,

perché intanto ho ripreso in mano un libro che mi aveva regalato mio padre anni fa…

E poi, finalmente, la liberazione, con test negativo a casa, prima dell’alba, confermato dal tampone in farmacia…

bello camminare e veder moltiplicate le bandiere della pace ai balconi e alle finestre nelle vie vicine

Libellule nell’ombra

Pagine che cantano e fanno volare sentimenti e fantasia, ore lievi mentre il quotidiano si fa davvero stretto, a volte soffocante (nel corso della quarta ondata del Covid, se non ho perso il conto, anche nel romanzo, finito di scrivere nel corso della seconda ondata, inevitabile più di un accenno alla pandemia). Ci voleva proprio un’evasione romantica, temperata di sano umorismo, come una gita, di questi tempi una vera vacanza senza valigia, tra Firenze e Mugello, come un sogno o un dipinto in cui sostare.

Le anime, libellule dell’ombra, mosche crepuscolari, fremono fra tutti questi canneti neri che chiamiamo passioni ed eventi (Victor Hugo)

La citazione di Victor Hugo, nel romanzo, è riportata dal protagonista e narratore attraverso il ricordo di Philippe Daverio: rimandi e citazioni non mancano, omaggi a capolavori del cinema, critici d’arte, architetti e musicisti… forse un richiamo a quel che ci fa(ceva) umani e che in questi tempi ristretti sembra superfluo? Senza la bellezza si potrà sopravvivere, la vita è oltre.

P.S.

Libro divorato in un pomeriggio, una sera e finito stamattina. Conosco l’autore, Paolo Marini, nato a Firenze, attualmente vive a Vicchio, ci siamo incontrati a San Jacopino per il funerale della sua mamma, la grande Silvana. Quando ha visto che avevo preso il suo libro (siamo amici di social, su Facebook), Paolo mi aveva promesso una dedica autografa “appena le circostanze permetteranno di rivedersi”. Ora, Paolo non poteva sapere che lo avrei finito di leggere proprio oggi, quando alle 9 circa mi ha scritto che oggi sarebbe venuto a Firenze… “scusa se te lo dico all’ultimo, ma di questi tempi si vive alla giornata, disturbo se passo a trovarti?” e Viola è rimasta a bocca aperta “cioè, fammi capire, mamma, se si legge un libro in due giorni poi l’autore viene a farti la dedica a casa?”. Le foto ce le ha scattate la mia bambina agli ‘arresti domiciliari’ (DAD).

Il danno

Ho subito un danno. Le persone danneggiate sono pericolose. Sanno di poter sopravvivere.

Per anni ho conosciuto solo questa citazione dal libro che mi sono decisa a leggere dopo i libri di Dehò. Cambiando decisamente genere, ma sempre di vita si parla.

Cercate di trattenerla e si ribellerà. È impossibile spezzare Anna. È già spezzata, vede? Deve sentirsi libera. Così tornerà sempre…

Ero attratta dalla frase su chi sa di poter sopravvivere e forse cercavo risonanze di mie fratture e una specie di catarsi. No, non mi ci rispecchio che nella minima misura in cui tutto quel che è umano in qualche modo ci tocca tutti. Evidentemente sono fragile, ma non frantumata, non fratta, non spezzata, perché so di potermi ancora spezzare. Ma torniamo al libro. Mi è piaciuto? Sì, mi ha distratta da diversi pensieri pesanti, si è lasciato divorare in poche ore, avvincente e, stranamente, non tanto inquietante anche se parecchio inquieti sono i personaggi e decisamente morboso il rapporto tra i protagonisti. Lo rileggerei? No, una volta basta, ma sono contenta di averlo letto, perché detesto avere in testa una frase famosa tratta da un libro senza aver letto il libro. E poi perché mi ha fatto apprezzare le mie debolezze, la mia vulnerabilità, il non aver chiuso il cuore all’amore che dona molto e molto ferisce, ma non genera il vuoto e la corsa all’abisso, veri protagonisti della storia.

Per quelli di voi che ne dubitano: questa è una storia d’amore.

No, non è una storia d’amore. Forse una storia sulla devastazione provocata dall’assenza di amore. C’è desiderio sessuale, dipendenza psicologica, ossessione erotica, sottomissione e fame di controllo, sete di sensazioni, ma l’amore? L’unico momento in cui il protagonista maschile (e voce narrante) compie, secondo me, un vero gesto d’amore è verso la fine, dopo la tragedia annunciata sin dalle prime pagine, nei confronti della moglie tradita e mai amata nel senso della passione o dell’amore romantico, quando le sottrae la collera, “era scevra del furore, del rancore e del senso di colpa degli incolpevoli”, per lasciarle solo il dolore, cui comunque lei saprà sopravvivere.

LA PAROLA LIBERA

Se vuoi Davide, non devi fermarti ai primi figli di Iesse, pur belli nelle loro apparenze

Spesso, prima di partire per una vacanza, mi porto almeno tre o quattro libri in valigia e spesso li riporto a casa non ancora letti. Stavolta un libro solo, perché “in questo periodo non ho la testa per leggere con calma” e invece LA PAROLA LIBERA di Alessandro Dehò mi ha presa, cullata, bruciata, strizzata, fatta piangere e consolata… me lo sono bevuto in tre mezzi pomeriggi tra scogli e pini, tra una corsa dietro la mia bambina e una nuotata al largo, tra le danze nascoste con lo sposo e le passeggiate in cerca di pace e fiori anche nel casino della settimana di ferragosto in un posto di vacanza (sarebbe bello andare in vacanza in altri momenti, ma non tutti possono scegliere le ferie e ringraziamo di poterle fare comunque le vacanze e in un bellissimo posto, casino agostano a parte). La Parola libera libera. GRAZIE

Il testo ha un ritmo e una melodia, il filo che tiene insieme le note è forse la storia del grande re Davide, da quando era un fanciullo fiero lontano dalle seduzioni del potere fino alla morte che arriva con certezza prima dell’ultimo respiro, rivelata dalla fine della potenza amorosa, una storia affascinante e vera, unica e semplice, attraverso tutte le contraddizioni della vita quando non (ci) si mente, ma forse è più liberante seguire, non le vicende della biografia corrotta e non corretta, quindi bellissima e imperfetta, autentica, vera, di quest’uomo straordinario, ma la danza della Parola nella storia e con la carne di Davide, la Parola libera, che è fedele a Davide più di quanto lui sia fedele a Lei, a Dio, agli uomini, re e profeti, seguaci e servitori, amanti e ruoli, a se stesso.

Stare in silenzio e svuotarsi, così da fare spazio alla Parola. E lasciarla cantare e farsi trascinare nella danza del suo fuoco e della nostra smarrita, vergognosa, bellissima debolezza. Affamati di senso, bisognosi di infinito

Potere forte

Roberta Covelli, laureata in Giurisprudenza con una tesi su Danilo Dolci, propone, nel suo saggio sull’attualità della nonviolenza, anche attraverso storie, episodi, personaggi del passato recente (oltre a Danilo Dolci, Gandhi, Nelson Mandela, Martin Luther King, Pietro Pinna, Aldo Capitini, Don Lorenzo Milani, Gigi Ontanetti), una vera guarigione dell’immaginario e delle parole come parte della ri-evoluzione ancora necessaria e speriamo possibile. La forza non è violenza, per esempio, eppure nel comune immaginario è difficile non connotare negativamente le parole (e le idee) che si riferiscono alla forza e al potere. Si parla di “forze armate” e s’intende l’organizzazione di mezzi di distruzione, armi e uomini in armi, non si ragiona di forze come capacità oppure si parla dei soprusi dei forti sui più deboli, senza considerare che la forza della nonviolenza è molto più forte della violenza. La forza è, prima di tutto, capacità, tratto della vita, non della violazione della vita. La forza non tesa alla distruzione difende anche la vita dell’avversario e l’educazione nonviolenta insegna a vedere nei nemici esseri umani dove la guerra, invece, si prepara insegnando a vedere nemici negli altri esseri umani. Potere forte è la capacità di pensare, affrontare, gestire i conflitti con modalità e mezzi nonviolenti, mentre la violenza è debolezza, fallimento, rassegnazione alla sconfitta della vita. In ogni conflitto violento è la vita che perde, nessuno vince davvero.

Le forze della vita, le armi dell’essere vivente più debole al mondo se isolato – l’uomo – sono nonviolente: la comunione, la parola, il dialogo, l’intelligenza, la comunicazione e la creatività, la condivisione di bisogni e idee per la soluzione dei problemi… vere forze, vero potere.

Mi sono emozionata alla citazione di Gigi Ontanetti, per la sua idea di lanciare mongolfiere di carta con messaggi di solidarietà dai civili bosniaci ai civili serbi, opera di fraternizzazione durante la guerra dei Balcani, per l’opera di vera intercessione (cammino in mezzo al conflitto per costruire la pace, la PACE SUBITO “Mir sada”) tra ponti simbolici e ponti reali. Prima che per l’Operazione Colomba raccontata da Roberta Covelli, Pierluigi Ontanetti mi era stato ‘presentato’ da don Fulvio Capitani che ne ha proposta una canzone nel suo canale YouTube: Un sorriso vi salverà

Don Lorenzo Milani viene citato più volte e ogni volta un tuffo al cuore. Me l’aspettavo, però. Non mi aspettavo invece il groppo di lacrime tra ciglia e cuore poco dopo l’inizio del capitolo sulla profonda relazione tra educazione e nonviolenza “Lo sviluppo creativo”.

A pagina 126 viene citato Balducci dalla presentazione al testo scritto da lui e dal mio babbo “La pace. Realismo di un’utopia”

Nel capitolo dedicato alla fine dell’Apartheid in Sudafrica “Reagire alla violenza, raccontare la verità, riparare i danni”, più che l’efficacia del boicottaggio internazionale, della ricerca di consenso con costanza, persuasione, resistenza nonviolenta, mi ha colpita la riflessione sulla giustizia riparativa e non retributiva, a proposito della ‘Commissione per la verità e la riconciliazione’, dove “la dignità sembrò aver la meglio sulla rabbia, la volontà di capire sul desiderio di vendetta” e soprattutto dove non ci si concentra sulla punizione del reo, ma sulla riparazione del danno e sulla rigenerazione dei rapporti, senza pretendere l’assurdo, non si può istituzionalizzare il perdono, il perdono resta una scelta intima della vittima, un dono capace di scardinare il circuito della violenza, ma come dono, gratuito, non può essere preteso. “La vittima non ha il dovere di perdonare, ha piuttosto il diritto di vedere riconosciuta la verità, di ottenere tutela, riparazione, ristoro, comprensione” mentre è l’autorità che ha il dovere di ricostruire i fatti e i rapporti.

Tra lo ‘sciopero alla rovescia’ di Danilo Dolci in Sicilia e le riflessioni sulla maieutica reciproca e l’ideale capitiniano dell’omnicrazia che scongiuri i rischi di oclocrazia dispotica con un’educazione continua, il saggio di Roberta Covelli aiuta a riconoscere la vitalità di una teoria che è anche e soprattutto pratica, di un metodo spirituale che si avvale di educazione emotiva e manuale. In sintesi, l’attualità della nonviolenza, che si propone “aperta e creativa verso una realtà liberata, in cui la partecipazione è fine e mezzo, la comunicazione è veicolo e contenuto, e la politica raggiunge gli obiettivi già nel condividerne l’elaborazione (…). Dall’autoritarismo all’omnicrazia, dal dominio al potere, così che il potere non rimanga più solo un sostantivo, ma un verbo che costruisce nel percorso il potenziale immaginato: il potere è di tutti, perché tutti possano

Solo un p.s. a LETTERE

Come in Comete Alessandro Dehò aveva ritrovato tra le sue e nostre macerie frammenti di stelle, in LETTERE, parole come pioggia battente, ogni destinatario mette a nudo il mittente. A riprova del fatto che non ci si conosce da sé, ma sempre un rapporto ci rivela a noi stessi prima che agli altri. GRAZIE

A Viola piacciono tanto le api. Sto per andare a riprenderla a scuola. La scuola è in presenza, la DAD non è scuola, la didattica a distanza dei mesi che hanno partorito Comete non era scuola, non per i bambini delle elementari almeno. Sì, lo so che ora si dice ‘primaria’, ma la mia bimba frequenta proprio la scuola – nel senso dell’edificio, non solo come denominazione – che aveva ospitato me alle elementari e, alla mia non più tenera età, mi ritrovo ancora a fare i conti con qualche fantasma di quel periodo… egoisticamente per me sarebbe stato meglio continuare tramite Zoom e Meet, con i compiti assegnati sul registro on line… ma per Viola ci vuole la scuola vera, la classe, i compagni di classe, lo scazzo coi coetanei e il confronto con i bambini più grandi, i dispetti e le prime vere amicizie, le prove tecniche di innamoramento e le bugie… la scuola.

Tra le LETTERE una delle più belle è quella di Zaccaria alla sua sposa Elisabetta, appassionata e illuminante. Me ne salvo due frasi appena: ‘Credo nell’Eterno perché essere “giusti davanti a Dio” e “irreprensibili” non significa non sbagliare mai, ma non maledire la vita, non accartocciarsi, non vivere da risentiti’ e ‘ci credo perché Giovanni è un “precursore”, cioè uno che è nato per incarnare l’Attesa. Abbiamo partorito Attesa, amore mio, ti sei accorta? (…) avendo atteso da tutta una vita noi siamo sempre stati fertili! Sterile è solo chi non attende. Abbiamo partorito Attesa perché qui non possiamo imparare nient’altro che questo, a vivere di fame e di sete’.

Poi ci sono pagine che lasciano senza fiato, la lettera di Maria a Giuseppe, la lettera di Giuseppe al Bambino, la lettera ai pastori di un pastore morente… oltre alle lettere in memoria dei morti di Covid. E l’abbraccio al babbo. Sempre

GRAZIE

e consiglio a chi vuole respirare bellezza e luce, il bellissimo blog di Alessandro Dehò

LETTERE di Alessandro Dehò

Arrivate alla fine di dicembre, prima del congedo dal 2020 che tanto ci ha scavati un po’ tutti e rimescolati, le travolgenti LETTERE di Dehò mi avevano subito coinvolta. Troppo. Mi sono fermata qualche giorno a spazzare via un po’ di polvere, senza pretesa di rimuovere macerie su cui altri (o l’Altro) potrà forse ricostruir(mi).

Conosco la tentazione di ritirarsi in silenzio, rifiutare inviti a scrivere e “rovistare tra ferite che ancora bruciano”, ma riconosco ancor più “l’urgenza della scrittura, questo demone salvifico, questo bisogno irrinunciabile…”. Resa magnifica. “…scrivere, in fondo, è arrendersi”.

In accompagnamento alle parole scritte, le parole cantate intrecciate con le note: ogni testo è seguito da una canzone, musiche come un respiro e spazi che “non sono un contorno”, anche canzoni note in altre versioni, come Todo cambia di Mercedes Sosa o Sidun di Fabrizio De André e La Sposa indimenticabile nell’interpretazione di Giuni Russo, ma tutte, qui, proposte nella versione cantata da Ginevra Di Marco, mia concittadina sensibile e raffinata che mi è toccato imparare a conoscere meglio e amare grazie a un tizio dalla discutibile fede calcistica (l’unico link che non ho seguito è quello alla traiettoria di un certo pallone…il mio cuore viola mi frena! Nemici nel calcio, anche se sento Alessandro Dehò profondamente fratello). Qui ripropongo la prima canzone reinterpretata da Ginevra: Tutto cambia.

Le parole alla nipotina che Alessandro scrive, da zio, dopo la morte del padre Franco: “io non voglio che tu dimentichi il nonno… troppo importante, è importante per te. E forse anche per me, che figli non ne ho… ho tanta paura dello spreco dell’amore” riaprono ferite e riaccendono speranza e voglia di far vivere ancora un altro nonno, il mio babbo, che a mia figlia e sua nipote manca come manca a me, anche se lei lo ha conosciuto per pochi anni e non quando era un vulcano di energie, amore, idee, slanci, generosità e impegno. Dovrò parlare a Viola del suo grande fragile indimenticabile nonno.
E la farfalla… per me, la farfalla è un segno preciso. Quando vedo volarmi vicino un paio di ali bianche so che babbo mi è accanto.

Chi conosce una storia un po’ taciuta capirà perché questa pagina:

mi ha fatta piangere. Anche se mio padre l’amore vicino l’ha vissuto e moltiplicato.

Per stasera mi fermo qui, forse. Forse riprendo più tardi e intanto pubblico… tanto non sto scrivendo un articolo di giornale, questo è solo il mio piccolo blog personale, terapia selvaggia alla sete di senso che nulla di finito mai colmerà

Un caso letterario

In questi giorni sono stata in Turchia e in India, ma soprattutto nelle strade di Ancona e in particolare a San Ciriaco, a vedere l’alba e il tramonto nello stesso giorno sullo stesso mare, “con le nuvole basse che confluivano fino al confine tra l’aria e l’Adriatico”, un incanto dipinto con colori che amo, mentre sull’Ararat sentivo la potenza di un silenzio temibile e amico insieme, un soffio di infinito, con l’eco di profumi e note capaci di far camminare il cuore e i pensieri.

Come si viaggia tanto in tempi di lockdown? E senza fare uso dell’erba della verità (“Peccato che quest’erba che unisce, da noi è sempre stata proibita, invece si approvano alcool e slot machine…”). Stamattina avevo quasi finito il noir scritto da Marina Malgioglio e Riccardo G. Palmieri… centellinavo le ultime pagine, perché mi dispiace sempre congedarmi da un libro che mi piace. Era tanto che non mi appassionavo a leggere per viaggiare con la mente, riconoscermi, evadere e tornare a me, non per dovere, insomma.
Non posso togliere a chi deve ancora leggerlo il gusto del giallo, anche se psicologico più che investigativo in senso classico, quindi nessun appunto su trama e personaggi. Stavo per scrivere “persone”, perché mi sembra di averci parlato e bevuto il tè insieme. E questo dice tutto sulla bravura degli autori. Notevoli le scene di sesso, mai banale o volgare, non è facile trovarne scritte senza banalità ridicole o volgarità che disturbano. Quel che mi disturbava, quel che non riuscivo a comprendere, non tanto con la testa, quanto per un istintivo senso di difesa (istinto di sopravvivenza psichica?), mi ha trattenuta dal cercar di pensare alla soluzione del giallo e ne era la chiave. Bel viaggio. Grazie!

Comete come te

Luce e colori. Parole e cuore. Spazio aperto. Cielo.

Non un libro, non una rivista.. un po’ libro, un po’ rivista, una sola uscita, per ora, su richiesta, già esaurita. Un po’, molto anzi, un abbraccio con l’anima, in questo tempo sospeso di abbracci con le braccia ancora parecchio limitati quando non vietati. Comete di Alessandro Dehò ha inciso un solco di luce nella mia incapacità di portare in fondo una qualsiasi lettura da… da quando anche il tempo intorno si è sbriciolato, se mai era stato integro. La mia copia cartacea di Comete è arrivata a casa mentre stava per cominciare la bella esperienza della Summerlife per Viola tra i bimbi e per me in altro senso… solo oggi ho girato l’ultima pagina. Quasi un mese per poco più di trenta pagine? Ogni pagina avrebbe richiesto settimane di riflessioni e pagine di diario personale, per quel che riaccendeva! E poi, anzi, prima, l’invito all’ascolto. Ascoltare ancora il Requiem di Mozart dopo non molto tempo (babbo amava moltissimo Mozart… ama, lo ama, si saranno incontrati nella sinfonia infinita? A divertirsi insieme con gli angeli, chiuse le lodi con Bach…), stavolta nella versione diretta da James Gaffigan con l’Orchestre national de France, è stato come aprire la diga a una piena di lacrime che premeva da mesi.

E poi la scoperta di un Requiem diverso, inatteso, disturbante quasi all’inizio, meraviglioso e liberante “Stringeranno nei pugni una cometa” di Silvia Colasanti

davanti al Duomo di Spoleto

con le parole di Mariangela Gualtieri contrappunto Dubitante al coro di chi non dubita che continua a pronunciare il testo latino antico e mai vecchio…

Dubitante con te chiedo perdono per tutte le volte che “non ho guardato con la dovuta attenzione tutte le meraviglie del quotidiano, per quando ho riso troppo poco…”

Ho pianto di nuovo al Secondo tempo. Come specchiarmi, a volte. Comete non consola, ma tiene la mano, la bagna di lacrime sue, sa stare accanto.

Don Alessandro ritrova tra le sue e nostre macerie frammenti di stelle, lacrime per lutti non ancora vissuti, preghiere scritte in tempi lontani e ipotesi di preghiera che valgono tutto il catechismo che non ascoltai fuggita via e tornata dopo un incontro con un’altra cometa

“Fu solo allora che capii che il miracolo non era aprire gli occhi, ma tenerli aperti. Tenere aperto uno spazio. Capivo che il miracolo non era un premio, ma una responsabilità. (…) Quella guarigione che consideravo definitiva in realtà era un inizio”

E in fondo pagine bianche, anzi, due riquadri “Per le tue parole” e la gioia di prendere un lapis per appunti in corsivo, a mano… con in testa ancora le pietre in mano al coro del Secondo tempo.

GRAZIE