Era un venerdì, il 17 febbraio 1995. Te ne sei andato in una notte fredda senza che potessi darti un ultimo bacio. Eri ricoverato in un altro ospedale, non in quello dove ti venivo a trovare, io magra magra, malata di anoressia, tu incapace di mandar giù un boccone “ora ti capisco, Caterina, non si può mangiare per forza, per favore, portami via questa roba…”
Sono più gli anni senza te che gli anni vissuti con te vicino, nonno.
Non ricordo più il suono della tua voce, non ricordo più il profumo del tuo dopobarba, ma ricordo le tue battute di spirito e la tenerezza che riservavi a me, tua prima nipotina, dopo tre figli maschi e poi tanti nipotini, tutti maschi; ricordo la bolla di plastica con sorpresa che mi comprasti vicino al Giardino dell’Orticoltura e come ridevi del mio girare fiera del regalo “una colana ho vinto una colana” (poi mai amate le collane, da grande);
ricordo qualche discussione, ogni diapositiva nel tuo studio di pittore per passione e insegnante di disegno e storia dell’arte per campare; ricordo come ti trasformavi in valoroso cavaliere con un manico di scopa per spada e un vecchio lenzuolo per mantello a scacciare i fantasmi che temevo nelle mosche (passavo giornate intere da voi nonni, specie quando il mio fratellino era al Meyer con la meningite).
Sono ventisei anni oggi da quella notte di febbraio in cui te ne sei andato, nonno Giuliano, ricordo solo quanto ho pianto il giorno del funerale, incredula e smarrita. Non eri in quella bara, per me, non sapevo dove te ne fossi andato e nei mesi (e negli anni) a seguire ti cercavo ancora nelle vie di Firenze e nei quadri, in ogni museo, in ogni chiesa, in ogni strada e in ogni scatola di colori a olio.
Ti ritrovo ancora nell’odore della vernice, ti ho stretto al cuore la mia prima volta a Parigi, davanti all’Orsay pensavo “oh se ci fosse nonno Giuliano!”…
ti sorrido quando riprovo a dipingere,
piango quando Viola gioca con il pelouche che ti avevo portato in ospedale e che mi hanno restituito dopo la tua morte. Non hai conosciuto la tua bisnipotina che pare sia portata per il disegno come anch’io un tempo prima di perdere la mano e la fiducia. L’ha conosciuta e abbracciata nonna Gabriella.
Un dono che non posso disprezzare. Una nonna viva e davvero presente fino a 104 anni! Mi mancano le sue prediche, la sua severità giusta (esigente con gli altri, solo perché addirittura implacabile con se stessa, a volte) e i suoi consigli saggi, affettuosi, ma mai melensi, come mi manca la tua dolcezza complice (tra artistoidi ci si capiva al volo) e il tuo scherzare su tutto, fino all’ultimo respiro.