una ragazzina analfabeta diventata Dottore della Chiesa

“Spirito Santo, vieni nel mio cuore,
per la tua potenza tiralo a te, Dio vero.
Concedimi carità e timore.
Custodiscimi o Dio da ogni mal pensiero.
Infiammami e riscaldami del tuo dolcissimo amore,
acciò ogni travaglio mi sembri leggero.
Assistenza chiedo ed aiuto in ogni mio ministero.
Cristo amore, Cristo amore”

Santa Caterina da Siena
(Siena, 25 marzo 1347 – Roma, 29 aprile 1380)

“Noi siamo immagine tua, e tu immagine nostra per l’unione che hai stabilito fra te e l’uomo, velando la divinità eterna con la povera nube dell’umanità corrotta di Adamo. Quale il motivo? Certo l’amore. Per questo amore ineffabile ti prego e ti sollecito a usare misericordia alle tue creature”

Nata a Siena, nel popolare rione di Fontebranda, cuore della contrada dell’Oca, il 25 marzo 1347, Caterina era la ventiquattresima figlia del tintore Jacopo Benincasa e di sua moglie Lapa Piagenti. La gemella Giovanna morì dopo poche settimane dalla nascita. Il carisma mistico della Santa dell’Oca, patrona di Italia con San Francesco d’Assisi e patrona d’Europa con San Benedetto da Norcia, Santa Brigida di Svezia, Santa Teresa Benedetta della Croce e i Santi Cirillo e Metodio, si rivelò molto presto: Caterina a soli sei anni sostiene di aver visto, sospeso in aria sopra il tetto della basilica di San Domenico, il Signore Gesù seduto sopra un bellissimo trono, vestito con abiti pontificali insieme ai santi Pietro, Paolo e Giovanni. A sette anni, quando le bambine sono decisamente lontane anche dal solo concepire una cosa simile, fa voto di verginità. E inizia, ancora bambina, a mortificarsi, soprattutto rinunciando a tutti i piaceri in qualche modo connessi con il corpo. In particolare, evita di mangiare carne e per evitare i rimproveri dei genitori, passa il cibo di nascosto ai fratelli.
Verso i dodici anni i genitori volevano ‘maritarla’ (erano tante le bocche da sfamare in casa del tintore…). I pittori spesso l’hanno ritratta sfigurata dai digiuni, ma il suo confessore abituale scrisse che era una bellissima ragazza. Caterina, per non tradire il voto fatto da bambina, arrivò a tagliarsi completamente i capelli, coprendosi poi il capo con un velo e chiudendosi in casa. Considerata affetta da una specie di fanatismo giovanile, per piegarla la costringono a pesanti fatiche domestiche. La reazione è del tutto in linea con il suo misticismo. Si “barrica” all’interno della sua mente come in una fortezza.
Un giorno, però, la considerazione dei genitori cambia: il padre sorprende Caterina in preghiera e prima di poterla sgridare nota con meraviglia una colomba posarsi sulla sua testa, si convince così che il fervore della ragazzina non è il frutto di un’esaltazione, ma che si tratta di una vera vocazione e decide di aiutarla.
A sedici anni, spinta da una visione di San Domenico, Caterina prende il velo del terz’ordine domenicano, continuando a restare nella propria casa. Semianalfabeta, quando cerca di imparare a leggere le lodi e le ore canoniche, fatica parecchi giorni, inutilmente. Chiede allora al Signore il dono di saper leggere che, a quanto riportano tutte le testimonianze e da quanto dice lei stessa, le è miracolosamente accordato. Intanto, inizia anche a prendersi cura dei lebbrosi presso l’ospedale locale. Scopre però che la vista dei moribondi e soprattutto dei corpi devastati e delle piaghe le genera orrore e ribrezzo. Per punirsi di questo, un giorno beve l’acqua che le era servita per lavare una ferita purulenta, dichiarando poi che “non aveva mai gustato cibo o bevanda tanto dolce e squisita.” Dal quel momento, la ripugnanza passò.
A vent’anni si privò anche del pane, cibandosi solo di erbe crude, poi solo dell’eucaristia… e non dormiva che due ore per notte.
In una notte del 1367 le appare Gesù accompagnato dalla Vergine e da una folla di santi, e le dona un anello, sposandola misticamente. La visione sparisce, l’anello rimane, visibile solo a lei. In un’altra visione Cristo le prende il cuore e lo porta via, al ritorno ne ha un altro vermiglio che dichiara essere il suo e che inserisce nel costato della Santa. Si dice che a ricordo del miracolo le rimase in quel punto una cicatrice.

La sua fama andava espandendosi, attorno a lei si raccoglieva una grande quantità di persone, l’allegra brigata… chierici e laici, che prendono il nome di “Caterinati”.

«Quando, intorno al 1366 un gruppo di persone appartenenti a vari ordini religiosi (Domenicani, Francescani, Agostiniani, Vallombrosani, Guglielmiti) si strinsero intorno a Caterina, certi avversari affibbiarono a tale gruppo il nome di Caterinati, a mo’ di scherno. Sembrava incomprensibile che tanta gente illustre, appartenente a ranghi nobiliari quali i Tolomei, i Piccolomini, i Salimbeni, i Saracini, si facessero soggiogare da una ragazza neanche ventenne, analfabeta, “visionaria”».
(da Patrona d’Italia e d’Europa; N.4 ott.-dic. 2004)

Preoccupati, i superiori dell’Ordine Domenicano la sottoposero a un severo esame per appurarne l’ortodossia. Lo superò brillantemente, ma le assegnarono un direttore spirituale, Raimondo da Capua, diventato in seguito suo erede spirituale.

Nel 1375, mentre è assorta in preghiera in una chiesetta del Lungarno, detta ora di Santa Caterina, riceve le stimmate che, come l’anello del matrimonio mistico, saranno visibili solo a lei fino alla morte, ma visibili il 29 aprile 1380, giorno della sua festa, nascita al cielo e nozze vere col suo Sposo.
Nel 1376 è incaricata dai fiorentini di intercedere presso il papa per far togliere loro la scomunica che si erano beccati per aver formato una lega contro lo strapotere dei francesi. Caterina si reca ad Avignone con le sue discepole, un altare portatile e tre confessori al seguito, convince il Papa, ma intanto è cambiata la politica e il nuovo governo fiorentino se ne infischia della sua mediazione. Però, durante il viaggio, convince il papa a rientrare a Roma. Nel 1378 è dunque convocata a Roma da Urbano VI perché lo aiuti a ristabilire l’unità della Chiesa, contro i francesi che a Fondi hanno eletto l’antipapa Clemente VII. Scende a Roma con discepoli e discepole, lo difende strenuamente, morendo sfinita dalle sofferenze fisiche mentre ancora sta combattendo. È il 29 aprile del 1380 e Caterina ha trentatre anni.

Oltre a opere di alta sapienza, come uno dei capolavori della letteratura mistica medievale, il “Dialogo della Divina Provvidenza”, ci ha lasciato raccolte di preghiere bellissime e un generoso epistolario.

Le lettere, che la mistica osa scrivere al Papa in nome di Dio, sono vere e proprie colate di lava, documenti di una realtà che impegna cielo e terra. Lo stile, tutto cateriniano, sgorga da sé, per necessità interiore: sospinge nel divino la realtà contingente, immergendo, con una iridescente e irresistibile forza d’amore, uomini e circostanze nello spazio soprannaturale. Ecco allora che le sue epistole sono un impasto di prosa e poesia, dove gli appelli alle autorità, sia religiose che civili, sono fermi e intransigenti, ma intrisi di materno sentire: «Delicatissima donna, questo gigante della volontà; dolcissima figlia e sorella, questo rude ammonitore di Pontefici e di re; i rimproveri e le minacce che ella osa fulminare sono compenetrati di affetto inesausto» (G. Papàsogli, Caterina da Siena, 2001).

Per il mio onomastico mi sono regalata una bella sosta in preghiera nella chiesa di San Jacopino, accanto al dipinto della Madonna del rosario con Gesù bambino, San Domenico e Santa Caterina da Siena.

GRAZIE

date in tempo sospeso

20 Aprile 2020
Tre anni dal danno… e non importa scrivere, per chi sa, chi non sa non importa capisca, ormai. Non posso dimenticare, ma non voglio restarne prigioniera. Mi è stata amica la pioggia, a non lasciarmi piangere da sola.

Pioggia sul Mugnone e un ‘amico’ nuovo… un airone pescatore. 

In volo maestoso, ma sono riuscita a fargli foto solo quando si ferma per mangiare.

21 Aprile 2020
Dopo più di due anni senza fumare, qualche tiro di sigaro…
L’Antico Toscano è… profumo di babbo Lodovico. Non è un bene che abbia ripreso a fumare, lo so, anche se non ricompro le sigarette e ho buttato la e-cig (lo svapo è soltanto un inganno, se fumo fumo) … non fumo come quando ero schiava delle ‘bionde’, sto tante ore senza sentirne la voglia, in casa non lo accendo (solo sul terrazzino o fuori lontano da tutti, quando posso levare la mascherina), se sto con Viola non prendo neanche in mano i sigari, ma il piacere del fumo me lo concedo. Smetterò di nuovo, magari quando potrò tornare a correre alle Cascine o almeno a portare un fiore sulla tomba del babbo.

22 Aprile 2020 


Compleanno senza fratelli e amici… ma il mio regalo più grande mi ha aiutata a soffiare sulle candeline.

23 Aprile 2020
Sono splendide le rose nel giardino accanto alla chiesa di San Jacopino. 

Profumo di bene. Luce dove ogni mia caduta è stata accolta e curata.

Direzione… 

24 Aprile 2020
Io non resto a casa. Rispetto le distanze di sicurezza, indosso la mascherina, non mi tappo tra quattro mura, mai più

si fa sera

Questa Pasqua di tempo sospeso, silenzi pesanti e silenzio di riflessione, solitudine buona e isolamento forzato, mi ha trovata sfinita, senza slancio, persino triste (confesso) proprio il mattino del primo giorno dopo il sabato. Quaresima intensa, vissuta con più sete che mai. E poi? Incapace di fare il salto dal sepolcro vuoto alla gioia della vittoria della Vita sulla morte, della luce sulle tenebre? Non sono la prima… e il Signore lo sa che abbiamo ciascuno i nostri tempi e con la delicatezza estrema dell’Amore si mette in cammino con ogni sua piccola e fragile creatura, con l’agile corsa di Giovanni e le lacrime amare di Pietro, con la fede bellissima di Tommaso che è passato per incredulo, con lo smarrimento di Maria che lo riconosce appena si sente chiamare per nome dal Maestro, con le paure dei fuggitivi… e, anche prima che ci doni di riconoscerlo nello spezzare il pane e benedire l’offerta della vita donata e condivisa, ci fa ardere il cuore in petto mentre ascoltiamo la sua Parola.

Ed ecco, in quello stesso giorno, [il primo della settimana,] due [dei discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.
Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro.
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

                                          (Luca 24, 13-35)

bellezza

Il ciclamino bianco si è ripreso bene, l’orchidea ricevuta in dono fiorisce e mi incanta.

I fiori di casa ringraziano per le attenzioni e regalano bellezza, conforto per occhi e cuore, come la Luna splendida di stasera, vista sbucare dal palazzo d’angolo mentre preparavo la cena, 

seguita nel suo spettacolo nel cielo sopra Firenze.

…sembrava giocare a nascondino son sottotetto.

” Una solitudine pura e una pace profonda. Le cose migliori che la luna possa offrire agli uomini. “
(Haruki Murakami)

Sulla luna, per piacere,
non mandate un generale:
ne farebbe una caserma
con la tromba e il caporale.
Non mandateci un banchiere
sul satellite d’argento,
o lo mette in cassaforte
per mostrarlo a pagamento.
Non mandateci un ministro
col suo seguito di uscieri:
empirebbe di scartoffie
i lunatici crateri.
Ha da essere un poeta
sulla Luna ad allunare:
con la testa nella luna
lui da un pezzo ci sa stare…
A sognar i più bei sogni
è da un pezzo abituato:
sa sperare l’impossibile
anche quando è disperato.
Or che i sogni e le speranze
si fan veri come fiori,
sulla luna e sulla terra
fate largo ai sognatori!
(Gianni Rodari)

 

…tenero di verdefoglia

Ieri sera mi sono fermata davanti al ramoscello d’olivo appeso l’anno scorso. Una lacrima silenziosa “ecco la Domenica delle Palme. Quando c’era babbo Lodovico era lui a portare i rami benedetti a casa, finché ha potuto. Poi mi ha passato il testimone… la sua ultima Pasqua non poteva uscire. E ora? Le benedizioni arrivano oltre i muri e le porte chiuse, ma dei rami dell’anno scorso che faccio?” 

Affidato tutto.

Al mattino era sbocciato un altro fiore e l’orchidea ricevuta in dono sta preparando nuove gemme.

Le ‘palme’ della Pasqua passata sono rimaste al posto che spetta loro, in attesa e con la speranza che l’anno prossimo saranno sostituite da verde nuovo, benedetto insieme…

Insieme. Anche in casa sono benedetta dallo stare insieme con chi amo.

Per questa Pasqua senza andare alla messa, senza processioni, senza “Osanna” sventolando palme… coinvolta Viola nella preparazione di omaggi in carta e acquarelli, poi raccolto un ramo verde, non di olivo, nella passeggiata vicino a casa. 

«Osanna al figlio di Davide!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Osanna nel più alto dei cieli!»

 

 

Dal Vangelo secondo Matteo
(Mt 21,1-11)

Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, dicendo loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un’asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito». Ora questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Dite alla figlia di Sion: Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma». I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava: «Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!».
Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui?». E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea».

5 aprile 2020 con Viola

insieme

SE HAI BISOGNO, PRENDI.
DONA SE PUOI.

Come a Napoli coi cestini calati nei vicoli, anche a Firenze si moltiplicano iniziative di solidarietà, scambio di voglia di bene, fraternità. vero dono sia per chi mette che per chi riceve o prende. C’è chi mette pacchi di pasta, caffè, zucchero, chi lascia il pane, chi si avvicina timidamente e nessuno guarda che cosa stia prendendo. Si rispettano le distanze, lì è anche più facile, metri e metri tra le persone. Scatole con scritte simili anche accanto a negozi chiusi, panchine sbarrate col nastro bianco e rosso, alle fermate degli autobus (foto viste sui quotidiani on line, di persona per ora ho visto solo la busta accanto all’edicola votiva all’inizio della passeggiata Carla Voltolina, sul ponte sopra il Mugnone). Si mette o si prende cibo, si scambia amore. Voglia di vita e comunione ai tempi dell’isolamento forzato. Distanziamento sociale per contenere il contagio del virus che piega il mondo intero, nuovi modi di farsi vicini a chi soffre le conseguenze delle chiusure.

Se hai bisogno, prendi. Dona se puoi.
Il modo più semplice per essere fratelli, per uscirne insieme.

Ancora tanti rami spogli lungo il Mugnone, ma su altri rami le prime foglie nuove, verde tenero di vita che rinasce.

Insieme parlano al cuore di fine e nuovo inizio.

Le piante in casa regalano bellezza agli occhi orfani del parco… 

Ne verremo fuori? Dall’emergenza sanitaria, prima o poi sì, la domanda è chi ne uscirà e chi non rivedremo (se saremo noi a uscirne). Come ne verremo fuori? Migliori? Peggiori? Diversi, spero. Qualcosa sarà quasi come prima, molto sarà come non possiamo neanche immaginare. So che cosa terrei volentieri dell’esperienza di trauma collettivo e che cosa non mi piacerebbe portare nella nuova “vita ordinaria”. Ma non lo scrivo adesso, quel che si dice nelle ore del pianto conta poco.