un ‘diamante’ nascosto nel pane

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non è da molto che mi lascio toccare il cuore dal mistero più folle e semplice al tempo stesso… stare, possibilmente in silenzio, davanti a Gesù esposto all’adorazione. Nessuno mi aveva spiegato o proposto fino a poco tempo fa l’adorazione eucaristica, anche se forse è quel che feci inconsapevolmente quel giorno in tempo di avvento nella chiesa di San Carlo dei Lombardi, dopo un verdetto disperante smentito dal test di gravidanza l’estate successiva. In quella chiesa era esposto il Santissimo, ci ero finita quasi per caso, ne ero misteriosamente attratta (non ero ancora tornata a frequentar chiese e messe, qualche volta pregavo da sola a casa o in riva al mare o sotto le stelle… ero ‘lontana’ e delusa da tutto quel che un po’ mi mancava). Da un po’ di tempo, però, quando posso, il giovedì pomeriggio dopo la messa delle 18, mi fermo nella chiesa di San Jacopino (o il venerdì nella chiesa sotto casa o il martedì mattina nella Cappella di San Benedetto vicino alla Facoltà di Agraria alle Cascine… piano piano scopro tutti i luoghi dell’adorazione eucaristica a Firenze) per guardare, ringraziare, pregare, adorare l’ostia consacrata, Gesù ‘nascosto’ nel pane come un bimbo nel grembo della mamma prima che si veda il pancione (più o meno così diceva un canto sentito durante una messa in Calabria, in estate), come “un diamante nascosto nel pane” della canzone di De André ‘Khorakhané (A forza di essere vento)’ e a volte riesco a far silenzio in testa per ascoltare quel che non mi parla in parole, a volte i pensieri fanno confusione e allora prego e offro almeno la mia presenza lì, col corpo. Ancora Faber mi viene in aiuto, con un verso della mia preferita tra le sue canzoni, ‘Se ti tagliassero a pezzetti’, quando dice “Dammi quello che vuoi io quel che posso”. Che cosa posso dare a Dio? Nulla, il mio nulla, il mio esserci e stare lì, riconoscente, inquieta o in pace, ferita o contenta o felice anche se ferita, felice perché amata anche se umiliata e ferita, perdonata dopo le cadute…

Martedì 24 settembre (eccezione, di solito l’adorazione serale, animata con canti e preghiere anche durante l’ora di adorazione, non solo all’inizio e alla fine, viene fatta a San Jacopino il terzo martedì del mese, ma stavolta era per iniziare in maniera intensa la settimana di festa della parrocchia e la ripresa delle attività) la mia prima volta all’incontro serale con Lui, lì dove ne assaporo spesso i doni di perdono e conforto. Esperienza forte. E giovedì pomeriggio ci sono tornata, perché quando conosci quella pace e quella luce, anche se sei ‘na schifezza e continui a inciampare… non ne vuoi più fare a meno. E impari a cadere con grazia, con la grazia di farti aiutare a riprendere il cammino, ogni volta con una briciola di fiducia in più.

Lascio ‘parlare’ le immagini (povere immagini, fotogrammi muti di un’esperienza travolgente) e frammenti di canti, parole di altri, pezzetti di pane di Parola, fino al canto riformulato da San Tommaso d’Aquino, l’inno eucaristico per eccellezza, il Pange lingua

Panis angelicus
Fit panis hominum
Dat panis coelicus
Figuris terminum
O res mirabilis
Manducat dominum
Pauper, pauper
Servus et humilis

“In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà.  Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Matteo 18,19-20)

“Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo.  Ed egli disse loro: «Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?” (Luca 24,13-17).

“Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l’un l’altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane” (Luca 24, 28-35)

“Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo” (Atti 2,42-47)

Pange, lingua, gloriosi
corporis mysterium,
sanguinisque pretiosi,
quem in mundi pretium
fructus ventris generosi
Rex effudit gentium.


Nobis datus, nobis natus
ex intacta Virgine,
et in mundo conversatus,
sparso verbi semine,
sui moras incolatus
miro clausit ordine

26 settembre 2019 adorazione giovedì2

In supremæ nocte cenæ
recumbens cum fratribus,
observata lege plene
cibis in legalibus,
cibum turbæ duodenæ
se dat suis manibus.

Verbum caro panem verum
verbo carnem efficit,
fitque sanguis Christi merum,
et, si sensus deficit,
ad firmandum cor sincerum
sola fides sufficit.

Tantum ergo sacramentum
veneremur cernui,
et antiquum documentum
novo cedat ritui;
præstet fides supplementum
sensuum defectui

Genitori Genitoque
laus et iubilatio,
salus, honor, virtus quoque
sit et benedictio;
procedenti ab utroque
compar sit laudatio.

Amen

Prima e poi

Primo giorno di autunno (sì, quest’anno l’equinozio di autunno era stamattina),

prima corsa sotto il temporale per me

Ero uscita quando non pioveva, tregua dopo una domenica di pioggia fitta e un’altra notte d’acqua e un altro risveglio bagnato…

I primi tuoni mi sembravano lontani, la pioggia mi piace e non volevo fermarmi e tornare indietro, stavo correndo felice, avevo trovato un buon ritmo…

Poi, però, la pioggia si è fatta più intensa, tuoni forti, fulmini vicini… anche un po’ di paura. Cielo sempre più scuro, scrosci violenti, sorrisi tremanti scambiati con gli altri due ‘pazzi’ a correre come me in tutto il parco delle Cascine sotto il temporale.

Sapevo che forse era meglio finirla e andare a casa, ma solo arrivata all’Indiano ho iniziato a pensare di rincasare e a quel punto c’era qualche chilometro da macinare nelle pozze.

Mentre tornavo indietro, a volte dovevo rallentare perché correvo dentro l’acqua, enormi pozzanghere… a volte invece acceleravo per paura dei lampi. Ma mi è piaciuto un sacco, un’esperienza nuova, un contatto speciale con le mie sorelle nuvole e le loro lacrime, una conversazione senza risposte a parole con Chi vive al di là delle nuvole…

Nel pomeriggio il cielo si è riaperto, sono andata a prendere Viola a scuola e da oggi le prime classi della primaria escono dal cortile dove passavo l’intervallo da piccina (la mia bimba va a scuola dove ho fatto anch’io le elementari). Lei gioca felice dove ho lasciato brutti ricordi…

prima di tornare a casa mi voleva far vedere dove gioca a campana.

Brava, bimba, salta e corri e ridi dove…

sopra…

non importa più.

Passato.

Ora c’è la dolcezza di un nuovo autunno

bolle di sapone

Luna calante, sta per finire la prima settimana di primaria… la mia briciola va a scuola

e sembra ieri che contavo le lune (e le settimane anche) dalla scoperta di essere incinta alla data prevista del parto, poi mandata all’aria dalla fretta di nascere della piccina.

Ancora caldo, a parte dopo i temporali come stanotte, ancora giochi in piazzetta

o corse al parco.

Tra sassolini e tappeti di foglie,

senza orari fino a metà settembre… 

Ma la scuola è iniziata e le vacanze finite.

…soffia…

” Lo sai ched’è la Bolla de Sapone?
l’astuccio trasparente d’un sospiro.
Uscita da la canna vola in giro,
sballottolata senza direzzione,
pe’ fasse cunnalà come se sia
dall’aria stessa che la porta via.

Una farfalla bianca, un certo giorno,
ner vede quela palla cristallina
che rispecchiava come una vetrina
tutta la robba che ciaveva intorno,
j’agnede incontro e la chiamò: – Sorella,
fammete rimirà! Quanto sei bella!

Er celo, er mare, l’arberi, li fiori
pare che t’accompagnino ner volo:
e mentre rubbi, in un momento solo,
tutte le luci e tutti li colori,
te godi er monno e te ne vai tranquilla
ner sole che sbrilluccica e sfavilla.-

La bolla de Sapone je rispose:
– So’ bella, sì, ma duro troppo poco.
La vita mia, che nasce per un gioco
come la maggior parte de le cose,
sta chiusa in una goccia… Tutto quanto
finisce in una lagrima de pianto “

Trilussa
(citato da una mia amica romana davanti alle foto di Viola intenta a far le bolle di sapone)

Altro astuccio, altri sospiri e sorrisi…

 

Le favole ancora no, non devono finire, ma comincia l’attrito del mondo con angoli e distacchi… non senza lacrime. Il terzo giorno, non subito. A Viola piace la scuola, la gioia prevale sulle piccole paure… 
A me torna su troppo passato che non passa e allora corro al parco a calpestare fantasmi, tra i rami, le foglie, le nuvole

e le rive del fiume.
Arno basso, serve la pioggia…
Cascine polmone di Firenze, grazie!

E buona avventura, Viola bella, non perdere lo stupore e la gioia semplice di chi si diverte con l’astuccio colorato di un sospiro

Don Pino. Il coraggio di amare

Solo se si è amati si può cambiare; è impossibile cambiare se si è giudicati. Si può contribuire a cambiare qualcuno solo se gli si esprime il proprio amore, e nel proprio amore gli si dice: appunto perché ti voglio bene così come sei, desidero per te che tu cambi
(Don Pino Puglisi)

Il 15 settembre 1993 don Pino Puglisi, parroco del quartiere palermitano di Brancaccio, venne ucciso da killer mafiosi.
Oggi, 15 settembre, una delle più belle pagine del Vangelo, la parabola del Padre che ama e aspetta il figlio perduto e gli corre incontro… 

«Nessun uomo è lontano dal Signore.
Il Signore ama la libertà, non impone il suo amore.
Non forza il cuore di nessuno di noi.
Ogni cuore ha i suoi tempi, che neppure noi riusciamo a comprendere.
Lui bussa e sta alla porta. Quando il cuore è pronto si aprirà.»
(Don Pino Puglisi)

 


Padre Puglisi non era un prete ‘anti’ era PER. Dava noia alla mafia non perché facesse l’attivista antimafia, ma perché dava al suo popolo un’alternativa, una visione bella della vita insieme. E un sostegno concreto, in positivo, non contro qualcuno. 

«Le nostre iniziative e quelle dei volontari devono essere un segno.
Non è qualcosa che può trasformare Brancaccio.
Questa è un’illusione che non possiamo permetterci.
E’ soltanto un segno per fornire altri modelli, soprattutto ai giovani.
Lo facciamo per poter dire: dato che non c’è niente, noi vogliamo rimboccarci le maniche e costruire qualche cosa.
E se ognuno fa qualche cosa, allora si può fare molto…»

Trasmetteva il coraggio della speranza. 

“Quelli che riflettono troppo prima di fare un passo, trascorreranno tutta la vita su di un piede solo”

Don Giuseppe Puglisi, come ricordava Gian Carlo Caselli nel 2013  “… muore (ce lo racconta il mafioso che lo uccise) sorridendo e pronunziando le parole “me lo aspettavo”. Cosa voleva dire, con quel sorriso e con quelle parole? Per il sorriso la risposta è facile, tant’è che don Pino è stato – ieri, a Palermo – beatificato come martire. La sua fede era profonda e sincera. Sapeva che la conclusione della vita terrena è solo un passaggio all’aldilà. Un passaggio per crescere: perciò sorrideva. Ma le parole “me lo aspettavo”? Forse don Pino si è ricordato delle tante volte che – in vita – si era guardato intorno e si era trovato solo. Non perché fosse qualche passo avanti rispetto alla posizione che gli spettava. Ma perché restavano indietro, spesso molto indietro, coloro che avrebbero dovuto essere accanto a lui. E la solitudine, si sa, sovraespone”

Passaggi di tempo, passaggi di luce

Il plenilunio più vicino all’equinozio di autunno è chiamato anche ‘Luna del raccolto’.

Quasi sempre a settembre, raramente in ottobre, dopo l’equinozio, la Luna piena nel passaggio tra l’estate e l’autunno era detta ‘Luna del Raccolto’ dai nativi americani perché si mostrava nel periodo di raccolta del grano e del mais, che, grazie al chiaro di Luna, poteva continuare anche dopo il tramonto. Una Luna amica e sorella, di grande aiuto, luminosa nella notte prima del grande buio dell’autunno che scivola nell’inverno.

Stasera si è alzata enorme, calda, sembrava arrossire sul bordo del tramonto… poi si è fatta candida, via via che saliva nel blu fondo della notte diventava più chiara, con un alone magnetico intorno, pareva fredda, ma la sua luce, carezza del cielo, mi ha scaldato il cuore

GRAZIE

In rete trovata un’altra caratteristica della ‘Luna del Raccolto’: l’alba anticipata. In genere, infatti, il nostro satellite sorge circa 50 minuti dopo (in realtà anche fino a 73 minuti) rispetto al giorno precedente, ma la Luna del Raccolto sorge solo 30 minuti dopo rispetto al giorno precedente. Questo perché intorno all’equinozio d’autunno l’orbita del nostro satellite è “più parallela all’orizzonte”, e quindi il rapporto con l’orizzonte orientale da dove sorgono i corpi celesti non cambia molto di giorno in giorno. Questa peculiarità implica che per diversi giorni dopo l’iniziale apparizione della Luna del Raccolto, il satellite sorge subito dopo il tramonto del sole, creando un incredibile chiaro di luna ad inizio serata. Un motivo in più che avevano anche i nativi americani per amarla, visto che rendeva le notti di raccolto meno buie.