Precetti e ricette. L’odio e il perdono

” Non odiare l’egiziano, perché fosti uno straniero nella sua terra ” (Dt 23,7)

… per essere liberi, dobbiamo liberarci dell’odio, questo è ciò che stava dicendo Mosè. Se i figli d’Israele avessero continuato a odiare i loro nemici di un tempo, Mosè sarebbe riuscito a portarli fuori dall’Egitto, ma non sarebbe riuscito a portare fuori da loro l’Egitto. Con la mente, sarebbero rimasti ancora là, schiavi del passato, prigionieri dei loro ricordi. Sarebbero rimasti in catene, non quelle di metallo, ma quelle della mente. E le catene mentali sono talvolta le peggiori di tutte.

(…)
Non si può creare una società libera sulla base dell’odio. Risentimento, rabbia, umiliazione, una sensazione di vittimismo e di ingiustizia, il desiderio di ristabilire l’onore infliggendo danni ai tuoi precedenti persecutori – sentimenti comunicati nel nostro tempo da un flusso interminabile di video di decapitazioni e di omicidi di massa – sono le condizioni di un’assoluta mancanza di libertà. Ciò che Mosè insegnò al suo popolo era: devi vivere con il passato, ma non nel passato. Quelli che sono prigionieri della rabbia contro i loro precedenti persecutori sono ancora prigionieri. Coloro che permettono ai loro nemici di definire chi sono non hanno ancora raggiunto la libertà.

Ho imparato questo dai sopravvissuti alla Shoah. (…) All’inizio fu difficile capire come avessero fatto a sopravvivere, come avessero convissuto con i loro ricordi, sapendo ciò che sapevano e avendo visto quello che avevano visto (…)
Tuttavia erano e sono alcune delle persone più positive che abbia mai incontrato. Quello che colpiva maggiormente era il fatto che vivessero senza rancore. Non cercavano vendetta. Non odiavano. Si preoccupavano, più di chiunque altro di mia conoscenza, quando altre persone venivano massacrate in Bosnia, Ruanda, Kosovo o Sudan. Il loro dolore li rendeva sensibili al dolore degli altri ( …)

Come, mi chiedevo, avevano esorcizzato il dolore che doveva averli tormentati notte dopo notte e portato molti, tra cui Primo Levi, al suicidio, talvolta molti anni più tardi? Alla fine ho compreso la risposta. Per decenni non avevano parlato del passato, non ai coniugi e neppure ai figli. Si erano concentrati esclusivamente sul futuro. Avevano appreso la lingua e la cultura della loro nuova patria. Avevano lavorato e si erano costruiti una carriera. Si erano sposati e avevano avuto figli. Soltanto quando si erano sentiti al sicuro anche per il futuro, quaranta o cinquant’anni dopo, si erano concessi di guardare indietro e di ricordare il passato.

Prima devi costruirti un futuro. Solo dopo puoi rivisitare il passato senza esserne prigioniero.
Ricordate, NON PER VIVERE NEL PASSATO, MA PER IMPEDIRE LA RIPETIZIONE DEL PASSATO.

(…)
… quello che mi hanno insegnato i sopravvissuti della Shoah: guarda avanti, non indietro. Costruisci una vita, una famiglia, un futuro, una speranza. L’odio ci rende schiavi…
Non fare la guerra ai figli delle tenebre.
Assicurati piuttosto che tu e i tuoi figli siate sorgenti di luce

(ancora da Non nel nome di Dio di Jonathan Sacks)

 

E una bellissima ricetta proposta da don Fulvio 

 

Il Piatto della Vendetta (dell’Osteria del Cenacolo)

Contrariamente alle leggende metropolitane 
non va servito freddo

Dosi per tutte le persone:
Memoria qb.
Perdono 490 abbondanti manciate
Serenità qb
Sorrisi senza esagerare
Cuore 1

Esecuzione
Tale ricetta è più difficile di quanto si possa credere, e riesce solo a chi si affida alla guida di Qualcuno che l’ha eseguita alla perfezione. 
Prima di tutto non è necessario dimenticarsi del male ricevuto, ma esso non va mai rigirato nel rancore (ingrediente che sconsiglio, fa andare a male tutto).
Poi occorre uscire da sé e entrare nel cuore e nella sofferenza dell’altro fino alla compassione; tale processo richiede non pochissimo tempo e sforzo.
Il perdono va raccolto prima in abbondanza dove lo si può trovare (ci sono degli spacci specializzati ed autorizzati).
Lo si deve ricevere e far maturare in sé, altrimenti dato senza tale maturazione può rimanere indigesto.
Dopo tale maturazione il perdono va impastato con la serenità e il sorriso.
A questo punto servitelo senza risparmiare nelle porzioni e a cuore caldo.

Ah, dice chi l’ha provato che è il miglior piatto di vendetta.

(Don Fulvio Capitani)

Semi tra i rovi

 

«Il seminatore uscì a seminare il suo seme. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la mangiarono. Un’altra parte cadde sulla pietra e, appena germogliata, seccò per mancanza di umidità. Un’altra parte cadde in mezzo ai rovi e i rovi, cresciuti insieme con essa, la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono, germogliò e fruttò cento volte tanto».

Una domenica al Tempio

Domenica 10 settembre, per la  Giornata Europea della Cultura Ebraica, erano in programma in tante città diversi incontri sul tema dell’esodo, mostre, concerti, degustazioni di prelibatezze della diaspora.

‘La Diaspora. Identità e dialogo’ era appunto il tema di quest’anno, davvero attuale per l’umanità intera.

10.9.2017 dentro la Sinagoga9jpg
A Firenze l’appuntamento era nella Sinagoga di via Farini, aperta al pubblico con la possibilità di visitare anche il Museo ebraico.

Una splendida occasione per ammirare un luogo non sempre aperto a tutti, per stare insieme, ascoltare racconti, disegnare (per i bambini, ma non solo), mangiare insieme, nella convinzione che la vicinanza, la condivisione, la conoscenza siano i migliori antidoti contro ogni forma di razzismo e intolleranza.

Jean-Michel Albert Carasso e Mike Hagen hanno fatto un menù Diaspora:
Trenette genovesi con sugo alla concia del Ghetto di Roma (squisite);

Insalata di ceci di Esaù che delle lenticchie non ne può più  (saporita);
gulash vegetale degli ebrei ungheresi con bicchierino di borscht di barbabietole degli ebrei ukraini (gusto insolito, da riprovare);
tajine di pollo al miele e cannella con cuscus degli ebrei marocchini (delizia);
crostini con mousse di tonno al curry degli ebrei dell’India (quel che mi è piaciuto di più);
Basbussa dolce di semolino degli ebrei egiziani (l’unica portata che non ho gradito tanto, giusto le mandorle intere sopra il couscous zuccherato e profumato di fiori d’arancio).

Emozionata come una ragazzina davanti a un mito alla presenza del grande chef JM Carasso. Ah, il dolce troppo morbido non l’aveva preparato lui, ci avrei scommesso. Piaciuto molto, però alla mia nuova amica Sara che si è fatta fuori anche le porzioni  delle bimbe… già, perché ero andata con lei , il suo consorte e la sostanziosa prole: tre incantevoli bambine e un dolcissimo principino di pochi mesi.

Con la piccola Anna, smorfie in auto passando davanti a San Jacopo in Polverosa (voleva salutare don Fulvio che era impegnato altrimenti e l’avrei rivisto volentieri anch’io)

Maya invece si è divertita in giardino a interpretare in maniera particolare la “domenica delle palme”

E mi ha colpita con le sue osservazioni durante la visita alla Sinagoga:

“qui devono stare persone importanti” (brava, ragazzina, nel matroneo stanno le persone importanti, le donne!)

10.9.2017 dentro la Sinagoga nel matroneo

P.S. in tempo per fare gli auguri di Rosh Ha-shanà, ripensando al gusto dei chicchi di melograno sparsi tra ceci e couscous anche quella domenica

l’shanah tovah techatemu ve tikatevu

[che il tuo nome possa essere inscritto e serbato (nel Libro della Vita) per un buon anno]

 

shana tova