“Non nel nome di Dio” di Jonathan Sacks

Il sottotitolo è importante: Confrontarsi con la violenza religiosa. Perché non sarà negando la motivazione religiosa di tanta violenza o qualche rozzo attacco alle religioni in sé a fermare le stragi di innocenti. Come nessun intervento militare potrà sconfiggere l’odio. Occorre cercare di conoscere, riconoscere in noi e negli altri (che sono “loro” per noi, come “Noi” siamo “Loro” per loro) la nostra comune umanità e ogni identità specifica, capire, elaborare, guardare avanti. Confrontarsi con la grande questione dell’identità, che è sempre plurale, come dimostra il fallimento di ogni tentativo di sfuggirle – nell’universalismo o nell’individualismo – e finalmente sconfiggere l’idolatria della violenza e della ricerca del potere “semplicemente” riconoscendo che la nostra comune umanità precede le differenze religiose.


Jonathan Sacks ha proposto un’affascinante lettura della Storia e della Bibbia. E le storie della Bibbia lette con stupore nuovo, rilette con attenzione, interpretate con scrupolo filologico, sensibilità e intelligenza affinata da anni di studio e ricerca, incantano come romanzi, illuminano come saggi di antropologia o psicanalisi, curano diversi graffi dell’anima.
In cuore la storia di Agar e Ismaele, 

come la rilettura di “Giuseppe e i suoi fratelli” all’interno del capitolo sulla “rivalità fraterna”, dopo la folgorante lotta di Giacobbe con l’angelo che lo porta a restituire al fratello Esaù la benedizione carpita con il travestimento… 

Solo qualche appunto prima di passare a un altro libro. Mi dispiace sempre congedarmi da una lettura nutriente (e sarò felice di parlarne, magari davanti a un caffè o un buon tè, con chiunque l’abbia letto), segnarmi in un solo posto alcuni passaggi mi aiuta a guardare avanti, alla prossima lettura.

Cap. 1  La malvagità altruistica

Quando la religione trasforma gli uomini in assassini, Dio piange.

(…) [la prima riga del primo capitolo potrebbe bastare. Epitome perfetta]

Troppo spesso nella storia della religione le persone hanno ucciso nel nome del Dio della vita, mosso guerra nel nome del Dio della pace, odiato nel nome del Dio dell’amore e praticato la crudeltà nel nome del Dio della compassione.
Quando ciò accade, Dio parla, talvolta con voce tenue, sottile, quasi inaudibile dietro il clamore di coloro che sostengono di parlare a suo nome. Quello che dice in queste occasioni è: Non nel mio nome

Cap. 3  Dualismo

” [Il dualismo patologico] è una forma di collasso cognitivo, un’incapacità di confrontarsi con le complessità del mondo, le ambivalenze del carattere umano, i capricci della storia e la definitiva inconoscibilità di Dio. Conduce a un comportamento regressivo, e è stato responsabile di alcuni dei peggiori crimini nella storia: quelli commessi durante le Crociate, i pogrom, la caccia alle streghe, gli eccidi in Cambogia, Bosnia, Ruanda, la Russia stalinista e la Cina maoista. (…) Il dualismo patologico fa tre cose. Fa disumanizzare e demonizzare il nemico. Porta a vedere noi come vittime. E permette di commettere MALVAGITÀ ALTRUISTICA, uccidendo in nome del Dio della vita, odiando nel nome del Dio dell’amore e praticando crudeltà nel nome del Dio della compassione.
È un virus che attacca il senso morale. La disumanizzazione distrugge l’immedesimazione e la compassione. Sospende le emozioni che ci impediscono di fare del male. Il vittimismo devia la responsabilità morale. La malvagità altruistica arruola le brave persone per una cattiva causa. Trasforma gli esseri umani comuni in assassini nel nome di alti ideali

Cap. 4 Capro espiatorio

…il modo in cui il dualismo si evolve [degenera] dall’essere teologico o metafisico per diventare patologico e fonte di odio violento. Accade quando una vittima – un individuo o un gruppo – è trasformata in capro espiatorio come metodo per proiettare all’esterno la violenza che altrimenti distruggerebbe una società dall’interno. (…)
E quando la violenza finisce, rimane il problema perché in primo luogo il capro espiatorio non è mai stato la causa del problema. E così le persone muoiono. La speranza è distrutta. L’odio reclama altre vittime sacrificali. E Dio piange”

me l’ero portato al mare, per rileggere dall’inizio

però poi l’ho finito a Firenze, perché se è vero che le storie sono affascinanti come romanzi, non è un romanzo. Questo libro è una sfida ai pregiudizi e una miniera di spunti interpretativi e spinge a consultare altri testi, cercare riferimenti, pensare a come tradurre nella vita di ogni giorno l’invito a dire (ebrei, cristiani, musulmani):

“Siamo tutti figli di Abramo. E sia che siamo Isacco o Ismaele, Giacobbe o Esaù, Lea o Rachele, Giuseppe o i suoi fratelli, siamo tutti preziosi agli occhi di Dio. Siamo benedetti. E per essere benedetti non è necessario che qualcuno sia maledetto. L’amore di Dio non funziona in questo modo.
Oggi Dio ci chiama, ebrei, cristiani e musulmani, a liberarci dall’odio e dalla sua predicazione, e a vivere finalmente come fratelli e sorelle, fedeli alla nostra fede e ad essere una benedizione per gli altri a prescindere dalla loro fede, rendendo onore al nome di Dio onorando la sua immagine, l’umanità

Importanti anche le citazioni sparse, come

“Immagino che uno dei motivi per cui le persone si aggrappano così tenacemente al loro odio sia perché sentono che, una volta esaurito l’odio,  saranno costretti a vedersela col dolore”
(James Arthur Baldwin)

Bello, bello, bello. Non escludo di riportarne qualche passaggio ancora prossimamente.
Grazie a chi me lo ha consigliato