acqua benedetta

Ieri sera, vigilia di San Giacomo, il parroco di San Jacopo in Polverosa in trasferta a Lourdes ci ha mandato una foto come una benedizione e una preghiera di pace e pioggia… e solo grazie a don Fulvio mi sono ricordata di fare oggi gli auguri di buon onomastico anche a Jacopo e a Jacques, non solo a Giacomo. 

La pioggia, acqua davvero benedetta, dopo tanta sete di piante e terra, a metà giornata è arrivata a dare sollievo dall’afa che ci faceva boccheggiare in città.

Bello camminare sotto il temporale, al ritmo dei tuoni, nell’aria fresca, a piedi quasi nudi tra le pozze, col cielo riflesso nelle crepe delle vie…

…e poi scorgere piccoli segni in cose e simboli, come l’angelo guardiano che si è rotto le ali proprio stamattina,

ripararne la schiena spogliata delle ali mi ha fatto pensare al vero angelo custode che non vedo mai e che sempre mi riacciuffa per i capelli. Oggi toccava a me prendermi cura di quel che è fragile, dentro e fuori di me.

Si vive a volte anche di gesti simbolici e piccoli segni esteriori sottolineano cambiamenti dentro. “Diamoci un taglio” con le strade sbagliate si può dichiarare anche con un banale taglio di capelli e una smorfia di stupore. Un giorno forse riderò di come mi sembrava difficile il passaggio che quando è il momento si lascia fare senza troppo sforzo… c’è poco al mondo – tra le cose rimediabili – che non si curi con acqua salata: lacrime, sudore o mare. In attesa del mare, stanchi di sudare, un bel pianto prepara al riso della rinascita. L’ennesima. Senza paura di chiedere una mano dopo ogni caduta, perché quando il cammino è in salita ci sta di inciampare e cadere ogni tanto, l’importante è riconoscerlo e tornare in piedi.  E guardare avanti. 

 

contrasti

Riuscire per un momento a non sentire il rumore degli autobus e il vociare di gente nervosa, passanti di fretta, folla accaldata, mamme in ritardo, ragazzi annoiati, turisti frastornati… con uno sguardo, soltanto uno sguardo a quelle mura dove il Beato Angelico dipingeva,

dove lavorarono e pregarono Fra Bartolomeo e il Savonarola… 

In cerca di ombra nel bagliore del sole di luglio, in cerca di luce nel caos poco calmo dentro, simile a un buio già attraversato e mai dimenticato. Scorci di quel che amo ancora della mia pelle fuori dal corpo, la città che non so lasciare anche se troppo spesso fatico a viverla come quando la vita sembrava aperta a tante possibilità… la amo se guardo in alto, la detesto quando – non più nuvola – guardo dove metto i piedi e quanto la offende. Con la scusa di difenderla, magari.

All’inizio della settimana, una bella sorpresa sulla porta di casa all’ora della pausa per il pranzo: un geco fermo sulla superficie liscia… un capolavoro inimitabile (per ora, almeno) di perfetta aderenza combinata alla facilità di staccarsi e correre via rapidamente e riattaccarsi ancora sfidando la legge di gravità e ogni grado di pendenza. Altro che Spiderman!

lo volevo adottare, anche per la sua dieta a base di insetti (liberaci dalle zanzare!), almeno ospitare… e per un giorno mi è rimasto vicino, sembrava seguirmi addirittura, l’ho visto di nuovo sulla porta quando dovevo tornare a lavoro.
Da ieri non lo vedo più, forse si muove solo di notte, forse ha trovato la strada per tetti e terrazzi, dove è più probabile che si possa sfamare.
Ciao, piccolo amico di un giorno d’estate, torna a trovarmi quando vuoi.


Ancora pensieri senza parole, bisogno di riflettere e voglia di pace, ma troppa stanchezza per fermarmi a meditare.
Smarrita, confusa, un po’ ferita un po’ in fuga un po’ – ovviamente – mortificata per cadute forse evitabili.
Non mi arrendo, ma provo a sospendere il giudizio su quel che non so controllare. E a mandare in vacanza la smania di voler controllare quel che forse è solo da attraversare, non accettare o subire, ma attraversare per superare.

Ringrazio gli alberi che mi hanno donato l’ombra desiderata in una sosta obbligata nel cammino per le mie “ricerche in corso”.
Era mercoledì pomeriggio, turno infrasettimanale di riposo dal mio lavoro, momento settimanale per un lavoro dentro me.

E poi, ieri, la pace gratis… il conforto che scordo ogni volta, prima di riceverlo, preda di paura e vergogna, il conforto che ogni volta mi nutre di quella luce che non viene dalla nostra stella, ma da Chi ha creato noi e le stelle.
Gratis non perché non ci sia un prezzo di dolore prima e di penitenza dopo, ma perché non si merita, si può solo accogliere o rifiutare, ricevere o respingere.

Grazie

prove tecniche di vero cambiamento

 

cadere

 

Autobiografia in cinque brevi capitoli
di Portia Nelson

Capitolo I
Cammino per la strada.
C’è una buca profonda nel marciapiedi.
Ci cado dentro.
Sono perduta… Sono senza speranza.
Non è colpa mia.
È praticamente impossibile trovare una via d’uscita.

Capitolo II
Cammino lungo la stessa strada.
C’è una buca profonda nel marciapiedi.
Faccio finta di non vederla.
Ci cado di nuovo.
Non riesco a credere di trovarmi nello stesso posto.
Ma non è colpa mia.
Ci vuole molto tempo per uscirne.

Capitolo III
Cammino lungo la stessa strada.
C’è una buca profonda nel marciapiedi.
La vedo.
Ci cado ancora… è un’abitudine… ma i miei occhi sono aperti.
So dove mi trovo.
È colpa mia.
Ne esco fuori immediatamente.

Capitolo IV
Cammino lungo la stessa strada.
C’è una buca profonda nel marciapiedi.
La aggiro.

Capitolo V
Prendo un’altra strada.

 

(fonte: un articolo mentre cercavo risposte… qui)

Luglio rovente, ma di sera anche dolce

Luna piena, l’otto luglio, rossa al suo levarsi da dietro i tetti dei palazzi che in parte chiudono la vista sulle luci della mia città, 

magnetica e incantatrice anche dietro un velo di nuvole, custode silenziosa di speranze e segreti …

e mentre si aspettava la venuta al mondo del fratellino di Franci, giochi e coccole in casa in una domenica bollente con la mia piccola immensa gioia: “Mamma, proviamo a far le faccine strane?” 

e ancora spiazzata da Viola che prendeva nella sua manina il Crocifisso che porto al collo da un paio d’anni, dalla mia tardiva Cresima e mi chiedeva “ma chi è questo signore che tieni vicino al cuore?”

“Il Signore…”
e una balbettante spiegazione di quel che non so come raccontare a una quattrenne…
E un’amica a trovarmi in negozio in una mattinata di smarrimento,

poi la voglia di fare un dolce freddo per invitare a cena chi mi sta salvando la vita. E forse salvando in senso più alto.


Cheesecake con cioccolato per il mio padre spirituale, gourmet anche se costretto a non essere gourmand… deve tenere sotto controllo la glicemia per la salute, ma l’occasione valeva uno strappo alla regola, visto che con qualche equilibrismo s’era trovata una sera in cui era libera anche Anna!
E Anna ci ha fatto le foto mentre Viola si divertiva   

14 luglio 2017 don Fulvio e il cheesecake

14 luglio 2017 don Fulvio Viola e cheesecake

 (anche se non ha voluto assaggiare il dolce preparato insieme)
13 luglio uno specchio di cioccolato

13 luglio 2017 Viola mescola

“I dritti e la torta”
by Fulvio Capitani

Un 14 Luglio dolce e brillante (nel senso che la notte poi ero brilla, dopo aver seccato il Prosecco portato da don Fulvio!)
Intanto, il 13 luglio, Carmela ha dato alla luce il piccolo Andrea. 

E siamo stati a vederlo appena tornato a casa, sabato 15, con Sandro e Viola (che si è divertita con l’amico suo, Franci)

Pensavo fosse già abbastanza per sentire gratitudine e combattere i cattivi pensieri e le paure…. poi, ier sera, don Fulvio mi ha dedicato una canzone e mi sono commossa fino alle lacrime.

… è come nei sogni, è come nelle avventure
ma il principe azzurro stavolta forse non viene
e contro i pirati dovrai lottare davvero!
Ma ormai già lo sai dai pirati cosa ti puoi aspettare.
Ti potranno insultare, minacciare, in fondo è il loro mestiere
(…) per questo si allenano davanti allo specchio
quasi tutte le sere….
lo fanno per cercare di vincere le 
loro stesse paure.
Ormai già lo sai dai pirati cosa ti puoi aspettare,
ma è proprio questo il tuo vantaggio
e non ci rinunciare!

    GRAZIE

 

 

Luna e l’altra

…dalla stessa finestra, a distanza di un’ora l’una dall’altra.
Scatto foto alla Luna perché neanche a lei stasera sento il bisogno di parlare.
Detto tutto.
Tutto.
Ora basta.
La fin. Fine. The end

 

7.7 … sì, mi piace questa data come nuovo inizio.

Il cielo è di tutti gli occhi e ogni occhio se vuole si prende la Luna intera…

Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati.

Letture al volo all’alba, con frutti dolcissimi di pace e gioia al pomeriggio… dopo una passeggiata all’inferno nella notte: 

Oggi in modo particolare risplende nel Vangelo l’amore di Gesù per i peccatori. Egli chiama a seguirlo un uomo che proviene dalla cerchia dei pubblicani, odiati e disprezzati come asserviti ai pagani dominatori. E’ già uno scandalo per i farisei, che considerano inderogabile, se si vuol essere “giusti”, la separazione dei peccatori. Ma lo scandalo giunge al colmo quando Gesù non lo allontana dai compagni della sua risma, anzi si mette a tavola a casa sua, in un banchetto che vede riuniti, con Gesù e i suoi discepoli, “molti pubblicani e peccatori”. “Perché – domandano ai suoi discepoli – il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?”.
Ma la risposta di Gesù è decisa:
“Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati…
Non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori”.

Bisogna mettersi tra i peccatori, per ottenere misericordia. Su questo punto ci può essere una deviazione nella devozione, cioè la possibilità di una riparazione che diventa farisaica: “Noi santi, noi giusti ripariamo per i peccatori!”. No. Riparare vuol dire mettersi tra i peccatori, in mezzo a loro da peccatori quali siamo, e pregare per noi e per gli altri per ottenere perdono e salvezza, che è sempre un dono gratuito. Chi si fa forte della propria presunta giustizia, si chiude alla misericordia di Dio.

Canto al Vangelo (Mt 11,28)
Alleluia, alleluia.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi,
e io vi darò ristoro, dice il Signore.
Alleluia.

Vangelo

Matteo 9, 9-13
Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati.
Misericordia io voglio e non sacrifici.

+ Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi».
Ed egli si alzò e lo seguì.
Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».

Parola del Signore

Preghiera dei fedeli
Gesù siede volentieri alla mensa dei peccatori, perché ama infinitamente l’uomo, e con il suo perdono lo rinnova e lo guarisce. Per la mediazione di Cristo redentore, rivolgiamoci al Padre, dicendo:
Per la tua misericordia, ascoltaci, o Signore.

Per il Papa, i vescovi, i presbiteri: sull’esempio di Cristo siano misericordiosi con i peccatori, vadano alla ricerca dei lontani, diventino missionari degli ultimi e degli abbandonati. Preghiamo:

Per la tua misericordia, ascoltaci, o Signore.

Per chi è spaventato della gravità delle proprie colpe: sappia guardare con fiducia al Cristo che ha già sconfitto il peccato e la morte. Preghiamo:

Per la tua misericordia, ascoltaci, o Signore.

(…)
Dal sito La Chiesa: Liturgia

Aggiungo solo alcuni appunti dalle omelie e commenti trovati in rete:

Omelia di Riccardo Ripoli (5.7.2013)
Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati

Se ci feriamo, se stiamo male fisicamente andiamo dal medico, ma se il nostro stare male dipende dal cuore, dalla nostra anima, dalle cose che non vanno nella vita, da un amore deluso a chi ci rivolgiamo? Se ne possono pensare tante, si può parlare con l’amico o l’amica del cuore, con uno psicologo, con l’insegnante o sfogarsi in qualche chat su internet, ma tutto è limitato. Nessuno ha la verità in tasca, nessuno ci conosce bene nel profondo, nemmeno noi stessi.
Quando la mia vita era a pezzi provai a rivolgermi a mio padre, ma anche lui soffriva e non poté aiutarmi; parlai con la mia ragazza di allora, ma era troppo immatura per affrontare certi argomenti; guardai ai miei amici, ma erano troppo presi dai loro problemi per darmi ascolto; mi gettai a capofitto nelle gare di pesca subacquea, ma anche in quel caso non bastavano per trovare una soluzione degna di essere chiamata tale. Non sapevo dove sbattere la testa. Pregavo Dio che mi indicasse la strada, ma tutto intorno a me era silenzio. Passarono così nove mesi, un periodo di buio, un momento della mia vita in cui ero sull’orlo di un precipizio e il desiderio di suicidio era sempre molto forte in me, ogni istante. Un giorno di settembre andai a fare una girata e mi ritrovai a Montenero, nei pressi di Livorno, dove c’è un santuario mariano. Mi fermai ed entrai per fare una preghiera. Era in corso la Messa e la celebrava un sacerdote un po’ pazzo. Era lui la risposta che stavo aspettando da tanto tempo da Dio. Da quel giorno la mia vita cambiò radicalmente ed ancor oggi sono a camminare su quella strada indicatami dal Signore.
Come e quando aiutarci lo sa Gesù, noi dobbiamo avere fiducia in Lui e attendere che la sua cura faccia effetto. D’altra parte se vi sentite male allo stomaco e andate con fiducia dal medico, mica guarite all’istante. Vi darà delle medicine che faranno effetto pian piano. La differenza tra il medico ed il Signore è però che il primo può anche sbagliare, va a tentativi, cerca di capire cosa abbiamo, mentre Cristo sa esattamente di cosa abbiamo bisogno e ce lo dona quando sa che farà più effetto.
Riguardando indietro, in quei nove mesi di sofferenza, se mi avesse indicato la strada dopo poco tempo e non avesse atteso tutto quel periodo, non avrei sofferto, non mi sarei lavato di dosso il mio passato, non avrei potuto gioire del dono fattomi. Se uno mangia tutti i giorni e salta un pasto uno o due giorni, quando ricomincia a mangiare nemmeno si ricorda di quel breve periodo in cui ha patito la fame. Ma se passano nove mesi senza potersi cibare adeguatamente, quando gli viene proposta una tavola imbandita saprà fare festa a quel regalo meraviglioso ed al suo donatore, ringraziandolo per tutta la vita.

E l’ormai caro Paolo Curtaz che sempre regala carezze al cuore:

Paolo Curtaz (6.7.2012)
Commento su Matteo 9,9-13

È seduto al banco delle imposte Matteo, quando incrocia lo sguardo di quel falegname ospite in casa di Simone il pescatore. Pensa che gli voglia chiedere qualcosa, un favore, uno sconto, un aiuto. È temuto Levi, è un pubblicano che riscuote le tasse per conto dei romani. Lo odiano tutti, visceralmente, ma lo temono e lo rispettano. E invece il Nazareno non gli chiede nulla. Sorride e gli dice di lasciare tutto. Sta scherzando, sicuramente. È stranito ora Matteo, ma lo sguardo di Gesù non lo abbandona. Cosa avrà visto in quello sguardo? Quale abisso di bene e di luce? Quanta misericordia e compassione? Cosa può spingere una persona a lasciare tutto per davvero? Sul serio? Forse anche noi abbiamo incrociato il suo sguardo, forse anche noi ci siamo sentiti travolti dalla misericordia, forse anche noi abbiamo colto la misura infinita della tenerezza di Dio. È venuto per noi ammalati, il Signore, non per quelli che non hanno bisogno di salvezza. È venuto senza porre condizioni, mettendosi in gioco, sfidandoci ad osare, a rischiare. E la cosa straordinaria è che questo incontro Matteo lo racconta trent’anni dopo e ne parla con una freschezza e una nostalgia che commuove.

Per stasera, intanto, mi è arrivato in mattinata un libro ordinato on line per poterne parlare con un ambasciatore di Misericordia, il mio amico e confessore, padre spirituale, amico, fratello maggiore, Don Fulvio (anche se, nel pomeriggio, oggi mi sono rivolta al parroco, Don Luigi, perché il sacramento in chat ancora non vale e Fulvio è in meritata vacanza al mare)