Romanzo popolare. Non proprio una recensione

perché non è il mio mestiere, non saprei neanche da dove iniziare per una vera recensione, non sono più nel giro dell’editoria da tempo, non mi paga nessuno, non credo sia giusto condizionare i lettori con un’analisi sempre parziale, ma un parere, una manciata di impressioni e un invito alla lettura per chi ancora non ha scoperto un libro capace di accarezzare l’animo e far emozionare, commuovere, riflettere …sì, questo penso sia nelle mie corde, anche rubando minuti al lavoro, tra un cliente in negozio e un ordine…

Le ultime pagine di questo delicato e potente romanzo mi hanno liberato un pianto trattenuto da troppo tempo.
E ringrazio la funzione catartica dell’arte, ancora una volta. Se un libro non mi porta alle lacrime o al riso, difficilmente mi resta in cuore. Romanzo popolare lascia dentro qualcosa, non è “soltanto” una lettura di intrattenimento (nulla contro i romanzi che aiutano a vivere altre vite nella fantasia e permettono così di non “agire” il desiderio umanissimo di evasione e distrazione, l’altra importante funzione dell’arte è proprio questa).
Il mio parere è poi condizionato dalla conoscenza dell’autrice. Un’amica di blog nell’altro altrove e poi nei “social”, non ci siamo mai incontrate (per il momento), faccia a faccia, occhi negli occhi, ma sento come una fortuna e un privilegio l’aver visto crescere negli anni il suo talento, dai brevi racconti sul blog alla prima raccolta stampata, la deliziosa silloge Succo di melograna, attraverso il primo romanzo, il sognante anche se dolente, La casa dal pergolato di glicine, fino a questo concentrato di ritratti di vite (non solo di donne, stavolta anche i protagonisti maschili hanno uno spessore e una tragica dignità che fanno sentire la maturazione di Lucia Guida come scrittrice) in un piccolo mondo ben noto all’autrice, sempre fedele alla vita autentica.
Che cosa resta della prima prova d’autore? La cura minuziosa dei dettagli e la ricerca di un linguaggio mai banale. Che cosa si è aggiunto? Una sempre maggiore libertà di esprimere i sentimenti senza descriverli, la capacità di inchiodare chi legge alle pagine, l’abilità nel farti affezionare ai personaggi senza dare giudizi.

Il destino e le scelte. Le scelte difficili di donne votate al sacrificio, ma non per questo prive di desideri, sogni, prepotente voglia di felicità, oltre le ferite, gli errori, gli orrori. Non sante, non tutte donne forti, anzi… la povera Giselda, la più fragile e ingenua, si lascia trascinare dal suo destino, la saggia Teresa non cambia il suo destino, ma lo accetta e vi aderisce con tanta dedizione da farlo diventare una sua scelta, Maria tenta di dargli una sterzata violenta, ma capisce che non le è servito, forse. 
Resta inciso nella carne e nel cuore il monito del proverbio abruzzese citato nel romanzo: “Chi pequere se fa, lupe se la magne” (chi si fa pecora, il lupo se lo mangia).

E quella lezione torna in tutta la storia, però, alla fine non restano i lupi, in mente, ma le madri, a volte pecore, più spesso leonesse nel difendere i figli dallo scacco del destino. Persino la più debole, in qualche modo, spiazza tragicamente il suo povero lupo.

Da leggere.