Non basta una Giornata

KZ Auschwitz, Einfahrt

ma, almeno una volta, ogni anno, ricordare e raccontare è doveroso.
Non solo ai ragazzi. Forse anche ai grandi andrebbe narrato quel che non si può spiegare.

“Una volta mi avevano dato del sapone, una tavoletta grezza, rettangolare, con sopra impresse le iniziali RJF. Allora non sapevo cosa significassero quelle lettere, ma nel giorno dello Yom Kippur qualcuno me lo rivelò. Nel giorno in cui si prega e Dio perdona il suo popolo ed è vicino a lui in spirito di amore e conciliazione, quel giorno imparai il significato di RJF. Rein Juden Fett, puro grasso ebreo. Ci avevano dato la possibilità di pulirci con i cadaveri dei nostri fratelli ebrei”

Millie Werber

Auschwitz ingresso neve

La notte
” Ho visto altre impiccagioni, ma non ho mai visto un condannato piangere, perché già da molto tempo questi corpi inariditi avevano dimenticato il sapore amaro delle lacrime. Tranne che una volta. L’Oberkapo del 52° commando dei cavi era un olandese: un gigante di più di due metri. Settecento detenuti lavoravano ai suoi ordini e tutti l’amavano come un fratello. Mai nessuno aveva ricevuto uno schiaffo dalla sua mano, un’ingiuria dalla sua bocca.  Aveva al suo servizio un ragazzino un pipel, come lo chiamavamo noi. Un bambino dal volto fine e bello, incredibile in quel campo. (A Buna i pipel erano odiati: spesso si mostravano più crudeli degli adulti. Ho visto un giorno uno di loro, di tredici anni, picchiare il padre perché non aveva fatto bene il letto. Mentre il vecchio piangeva sommessamente l’altro urlava: «Se non smetti subito di piangere non ti porterò più il pane. Capito?». Ma il piccolo servitore dell’olandese era adorato da tutti. Aveva il volto di un angelo infelice).

Un giorno la centrale elettrica di Buna saltò. Chiamata sul posto la Gestapo concluse trattarsi di sabotaggio. Si scoprì una traccia: portava al blocco dell’Oberkapo olandese. E lì, dopo una perquisizione, fu trovata una notevole quantità di armi. L’Oberkapo fu arrestato subito. Fu torturato per settimane, ma inutilmente: non fece alcun nome. Venne trasferito ad Auschwitz e di lui non si senti più parlare. Ma il suo piccolo pipel era rimasto nel campo, in prigione. Messo alla tortura restò anche lui muto. Allora le S.S. lo condannarono a morte, insieme a due detenuti presso i quali erano state scoperte altre armi.

Un giorno che tornavamo dal lavoro vedemmo tre forche drizzate sul piazzale dell’appello: tre corvi neri. Appello. Le S.S. intorno a noi con le mitragliatrici puntate: la tradizionale cerimonia. Tre condannati incatenati, e fra loro il piccolo pipel, l’angelo dagli occhi tristi. Le S.S. sembravano più preoccupate. Più inquiete del solito. Impiccare un ragazzo davanti a migliaia di spettatori non era un affare da poco. Il capo del campo lesse il verdetto. Tutti gli occhi erano fissati sul bambino. Era livido, quasi calmo, e si mordeva le labbra. L’ombra della forca lo copriva. Il Lagerkapo si rifiutò questa volta di servire da boia. Tre S.S. lo sostituirono.

I tre condannati salirono insieme sulle loro seggiole. I tre colli vennero introdotti contemporaneamente nei nodi scorsoi.

– Viva la libertà! – gridarono i due adulti.
Il piccolo, lui, taceva.

– Dov’è il Buon Dio? Dov’è? – domandò qualcuno dietro di me.

A un cenno del capo del campo le tre seggiole vennero tolte.

Silenzio assoluto. All’orizzonte il sole tramontava.

Scopritevi! – urlò il capo del campo. La sua voce era rauca. Quanto a noi, noi piangevamo.

– Copritevi!

Poi cominciò la sfilata. I due adulti non vivevano più. La lingua pendula, ingrossata, bluastra. Ma la terza corda non era immobile: anche se lievemente il bambino viveva ancora…

Più di una mezz’ora restò così, a lottare fra la vita e la morte, agonizzando sotto i nostri occhi. E noi dovevamo guardarlo bene in faccia. Era ancora vivo quando gli passai davanti. La lingua era ancora rossa, gli occhi non ancora spenti.

Dietro di me udii il solito uomo domandare:

– Dov’è dunque Dio?

E io sentivo in me una voce che gli rispondeva:

– Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca…

Quella sera la zuppa aveva un sapore di cadavere “

(Elie Wiesel)
shoah-bambini

esserci

Riccardo-Magherini-Tutti per Riky

8 gennaio Cate e Guidoandare a portare sostegno e ricevere calore, affetto, sorrisi, abbracci…
Stamani, dentro il Tribunale di Firenze, fuori dall’aula per l’udienza preliminare, eravamo in tanti.

8.1.2015 Udienza preliminare

Dentro l’aula si sentono soli i familiari di Riccardo, come ha dichiarato l’avvocato Fabio Anselmo, come soli si sentono i parenti di altri morti tra le mani di chi dovrebbe difendere gli inermi e proteggere i cittadini.
Fuori dall’aula 12 del nuovo Palagiustizia c’erano tanti amici del Maghero, c’era anche Ilaria Cucchi, sorella splendida… niente le ridarà suo fratello Stefano, ma lei continua a cercare giustizia e verità e a dare la sua presenza come una luce per chi vive un’altra storia sbagliata.

Ilaria e GuidoEsserci per stare accanto alla vedova di Riky, una splendida donna segnata dal lutto (e non ne metterò foto, infatti, perché rispetto chi non si mostra, mentre voglio dare spazio a chi cerca ascolto), accanto al babbo, il grande Guido, accanto al fratello, il caro Andrea, sempre gentile e coraggioso, educato e instancabile,

8 gennaio Cate e Andrea Magherini

accanto alle amiche e agli amici tremanti di lacrime trattenute, rabbia trattenuta, amore invincibile.

8 Maghere
Esserci per non starci.
No, non ci stiamo a vedere ancora una volta il processo alla vittima.
Non ci stiamo a sentir dire che in fondo è colpa di chi muore

ci siamo

Per Riky

Giornata di sgomento, dolore, smarrimento.
Ma non ci si arrende alla paura o al disgusto per la violenza di chi disprezza la vita.
Finché si vive, viviamo.
A testa alta e senza farci intimidire.
A cuore vivo, anche con i nervi a fior di pelle e le lacrime in tasca, con il sorriso di Riky come stella cometa.

Riccardo Magherini giovanili viola

Vigilia dell’ udienza preliminare per accertare le cause e le responsabilità nella morte di Riccardo Magherini.
Ci sarà un Giudice. Ci sarà anche un giudice, si spera.
Non ci faranno entrare, domattina sarà un’udienza senza pubblico, in camera di consiglio, ma noi, gli amici del Maghero, saremo davanti al Tribunale di Firenze per abbracciare Guido e Andrea, per far battere ancora nel petto di ciascuno di noi il cuore di Riky.

24.11.2014 in consiglio comunale
Un primo passo per uno straccio di giustizia anche in terra?
Bisogno di sperarci.

I LOVE RIKY

Domattina, prima delle dieci, saremo in tanti davanti al
Tribunale Di Firenze – Nuovo Palazzo Di Giustizia
Viale A. Guidoni 61, 50127 Firenze

a me piacevi tu

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A me me piace ‘o blues e tutt’ ‘e juorne aggia cantà

(Pino Daniele, Napoli 19 marzo 1955 – Roma 5 gennaio 2015)

 

Pino Daniele Nero a metà

 

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retenews24

 

 

Tu dimmi quando, quando
dove sono i tuoi occhi e la tua bocca
forse in Africa che importa.

Tu dimmi quando, quando
dove sono le tue mani ed il tuo naso
verso un giorno disperato
ma io ho sete
ho sete ancora.

Tu dimmi quando, quando
non guardarmi adesso amore
sono strano,
perché penso al futuro.
Tu dimmi quando, quando
siamo angeli
che cercano un sorriso
non nascondere il tuo viso
perché ho sete, ho sete ancora.

E vivrò, sì vivrò
tutto il giorno per vederti andar via
fra i ricordi e questa strana pazzia
e il paradiso, che non esiste
chi vuole un figlio non insiste.

Tu dimmi quando, quando
ho bisogno di te, almeno un’ora
per dirti che ti amo ancora.

Tu dimmi quando, quando
lo sai che non ti avrò e sul tuo viso
sta per nascere un sorriso
ed io ho sete, ho sete ancora.

E vivrò, sì vivrò
tutto il giorno per vederti andar via
fra i ricordi e questa strana pazzia
e il paradiso, che forse esiste
chi vuole un figlio non insiste.

Ed io ho sete
Ho sete ancora,
Tu dimmi quando, quando…