Amore della zia

7 novembre 2010

al ritorno da Parigi mi aspettava il mio primo nipotino. Dall’enorme al minuscolo, emozioni senza fine.
Già durante l’avventuroso viaggio d’andata, in treno nella notte da Firenze a Parigi, nella cuccetta in alto, separata da Sandro, sopra la testa solo qualche centimetro tra me e il tetto della carrozza rumorosa, sotto il sedere un gruppo di giapponesi russatori forti, un francese salito a Parma e una ragazza londinese pingue e poco silenziosa, allargavo l’esiguo spazio fisico a disposizione con respiri dal cuore inondato di tenerezza per quell’esserino che solo al rientro avrei imparato a conoscere. E difendevo il respiro con salviette profumate, ché tra gli scossoni del vagone nelle zone di montagna e alle fermate, chiusi al buio, l’olfatto acuito avvertiva ogni sfumatura di scarpa ginnica e calzino usato…


La foto del nipotino, nella galleria del cellulare, mi riportava a casa nei rari momenti di disagio e nelle ore di puro incanto, quando mi lasciavo rapire dalla tentazione di non tornare più, deliziata da tutto e soprattutto dagli spazi …
spazio datemi spazio

Il mio fratellino era diventato babbo. A me è toccato far da mamma di cuore al figlio del mio sposo, ma è stata negata la gioia di esser mamma anche di pancia. Non mi ero ancora arresa, soffrivo ancora molto per quella briciola di me, di noi, persa senza neanche un nome… e per quel dolore senza nome, non lutto, ché nessuna persona era mancata … quando interrogavo Écoute.

è tardi? Forse troppo tardi. Perché qualcosa si ribella e grida che invece è presto?
Forse non sarà mai il momento, se sento tanto, se non capisco, se sento tutto, ma non mi ascolto.
Non lo so se lo voglio davvero, quello che non c’è… e se fosse solo un desiderio senza volontà?

E pensavo e ripensavo alla mano accostata all’orecchio dell’enorme testa che pensa e invita all’ascolto, in quella piazza, place René-Cassin, tra le strutture moderne del Forum des Halles e la chiesa de Saint-Eustache. Écoute, la scultura di Henri de Miller non mi usciva di testa. Sì, forse quella testa appoggiata alla mano a sua volta appoggiata al suolo, come gli indiani da film sui sentieri, in ascolto, invita a prestare attenzione ai segnali e alle voci di fuori, alle parole degli altri. O forse, anche almeno, suggerisce un altro ascolto. Quella mano accostata all’orecchio a volte mi sembra una forma di protezione, un appoggio per la testa che scoppia di rumori e parole e voci di fuori. Un tentativo di sentirsi, dentro.

E poi sono uscita di testa. In tutti i sensi, ma in senso buono per lui, il mio nipotino, luce dei giorni di buio.
Tenero tesoro da cullare


Serio serio, con gli stessi occhi di mio fratello da piccino, a meno di tre mesi

Gioia tremante ai primi passi, ottobre scorso

Compagni di giochi con le bolle di sapone

Attore, ormai… sembra pianga, per un dolcetto negato, ma è stato lo spettacolo di Pasqua, tutto sorrisi e versini, gioia di vivere fatta bambino

12 pensieri su “Amore della zia

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